Così l'uomo scivolò in un sesso indistinto

L'icona di Fashioning Masculinities, l'esposizione al Victoria&Albert Museum (fino al 6 novembre) dedicata alla moda maschile nel corso dei secoli, è nella immagine che fa anche da copertina al sontuoso catalogo stampato per l'occasione

Così l'uomo scivolò in un sesso indistinto

L'icona di Fashioning Masculinities, l'esposizione al Victoria&Albert Museum (fino al 6 novembre) dedicata alla moda maschile nel corso dei secoli, è nella immagine che fa anche da copertina al sontuoso catalogo stampato per l'occasione. Jean Baptiste Bellay è il titolo e in essa Omar Victor Op, il suo autore, non fa altro che fotografare sé stesso nell'uniforme e nell'atteggiamento che fu del settecentesco uomo politico Bellay, il primo deputato di colore a far parte della Convenzione di Parigi. Senegalese di origine, schiavo auto-riscattatosi e poi combattente anticolonialista a Santo Domingo, nel ritratto di lui fatto all'epoca da Girodet, Bellay appare fiero, ma come consumato, la vita, le lotte, la rivoluzione, e il suo braccio destro sfiora il busto del filosofo Raynal, tenace avversario della schiavitù.

Diop invece è un giovane altero, il cui braccio destro è attorno a un pallone da football, mentre la mano sinistra tiene qualcosa di simile a un guanto da baseball. La battaglia, par di capire, è la stessa e la foto del resto fa parte di una serie intitolata Diaspora e dedicata allo sradicamento africano Diop è un francese di ottima famiglia e, al di là delle buone intenzioni, vien in mente quella frase di Karl Marx secondo la quale quando la Storia si ripete è la farsa a prendere il posto della tragedia.

Il perché sia questa foto di Diop a introdurre Fashioning Masculinities rientra probabilmente nell'ottica con cui Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, il marchio che significativamente fa da sponsor della mostra, interpreta la moda maschile contemporanea come rifiuto di ogni stereotipo nonché di ogni modello storicamente impostosi nei secoli, la libertà di vestirsi che è anche libertà da qualsiasi condizionamento, sociale, politico, di genere L'impressione è che la moda maschile, quella almeno concepita da stilisti come Michele, farebbe volentieri a meno del maschio, qualsiasi cosa si voglia intendere con questo sostantivo, anche se resta il fatto che nel ferreo mondo del fashion business le modelle sono più pagate rispetto ai loro omologhi dell'altro sesso, il che dovrebbe imporre qualche interrogativo in materia. E va da sé che l'eccesso, la trasgressione, la confusione dei generi, compresi quelli sessuali, più che indicare un futuro contempla un più o meno inconscio ritorno al passato: il seicentesco ritratto del Duca di Bavaria, dipinto da Sebastiano Bombelli, vede scarpe con fibbie, fiori decorati e tacchi, gonne e sovra-gonne, nastri, merletti, sbuffi e ricami, lunghe parrucche e ventagli, seta e velluto come se piovesse. Ciò che allora era eccentricità aristocratica, oggi è diventata eccentricità democratica, ovvero di massa, il che è un controsenso di cui non si accorge più nessuno. Allo stesso modo, la necessità di modelli cui ispirarsi, ha visto la società dello star system, cioè dello spettacolo, attori, attrici, cantanti, presentatori eccetera, sostituirsi alla élite nobiliare imperante ancora sino al XIX secolo e la strada prendere il posto della corte o della reggia quanto a fonte di ispirazione, un po' come i fanatici di McDonald's si estasiano all'idea di un cibo eguale per tutti, con lo stesso gusto per tutti, negli stessi luoghi per tutti L'uniformità rivendicata come fosse una diversità... Resta il fatto che la moda maschile, per quanto la si rigiri, è condizionata da un fisico che nel vestirsi così come nel disvelamento, ha meno elementi di seduzione con cui giocare di quello femminile: può paradossalmente esaltarsi nella nudità, come attestato dalla statuaria classica, ma per non immiserirla ha bisogno di coprirla: nei secoli la corazza, il corpetto, l'uniforme, la toga, l'abito da sera è questo che hanno raccontato.

Divisa in tre sezioni, «Undressed», «Over dressed», «Redressed», con un ricco corredo di quadri, foto, abiti, filmati, oggetti d'arte, documenti, Fashioning Masculinities ha il suo elemento centrale in quel Settecento del Grand Tour in cui la nobiltà continentale comincia a prendere le misure di sé stessa andando a lezione dalle civiltà del passato, i marmi e i bronzi del mondo classico greco-romano, la sontuosità, l'intelligenza, ma anche la pericolosità, intrighi, delitti, congiure, libidini, dell'età rinascimentale. Le nazioni, tranne significativamente l'Italia e la Germania, hanno avuto il loro compimento, gli imperi si alternano fra albe e tramonti, la Spagna, la Francia, l'Inghilterra, l'Austria, c'è tempo per una società della conversazione che si interroghi su abiti, comportamenti, stili e regole di vita. Il venire alla ribalta del mondo borghese accentua la necessità di un comun denominatore e insieme lo allarga restringendo gli elementi di eccentricità nonché il sentirsi al di sopra di ogni regola civile in virtù del puro e semplice privilegio di nascita. Nel catalogo della mostra si dà giustamente risalto a quelle Lettere al figlio, di Lord Chesterfield, che sono una sorta di manifesto di che cosa dovesse essere l'uomo educato del suo tempo, e con esso l'idea che la forma fosse sempre e comunque sostanza.

Sull'abbigliamento, Chesterfield traccia a metà Settecento quello che cinquant'anni dopo Lord Brummell renderà esemplare nel suo dandismo come arte della semplicità: «Mi auguro che tu vesta bene, ovvero secondo l'uso comune nella buona società: questo significa che non dovrai farti notare né per eccesso né per difetto, poiché un gentiluomo deve distinguersi per l'eleganza, non per lo sfarzo».

Curiosamente, nella mostra è assente quel quadro di Tiziano, L'uomo dal guanto (1523) che era al centro degli insegnamenti di Chesterfield, l'immagine e insieme l'insegna di una linea di condotta dove un busto da adulto e un viso da adolescente avevano il loro completamento in una mano nuda con l'indice verso terra e l'altra in riposo, ma guantata, una sorta di pugno di ferro in mano di velluto come modello comportamentale. Assente è anche il ritratto di Baldassar Castiglione, sempre di Tiziano, ma del primo e del suo trattato Il Cortegiano, è ripreso l'elogio del nero come colore che dal Settecento in poi ridisegnerà la moda maschile. Il nero, ammonisce Castiglione, si addice alla normalità del vestire, e non del piacere, e singolarmente il Novecento finirà con il rovesciare definitivamente questo assioma affidandogli nelle forme del dinner jacket, dell'abito scuro, il compito di incarnare l'ultima trincea dell'eleganza classica.

Nel gioco dei rimandi, degli intrecci, dietro a un David Bowie che si dà al maquillage c'è il pallore incipriato del duca di Richmond, protégé di Carlo II d'Inghilterra, dietro allo smoking al femminile di Saint-Laurent anni '70, c'è il tuxedo maschile di Marlene Dietrich anni Trenta nel film Morocco o gli abiti maschili della seicentesca regina di Cristina di Svezia Le parole più sensate rispetto allo scivolare della mascolinità verso un sesso indistinto visto come

una possibilità di uscire dalle gabbie della propria condizione, la dice nel catalogo lo stilista italiano Giorgio Armani quando osserva che la sua moda «non è unisex: richiede delicatezza per l'uomo, forza per la donna».

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