Così il mondo iniziò a crollare

Ruderi disabitati, giungla nelle strade e tre bande che si contendono la città

Così il mondo iniziò a crollare

di Luca Doninelli

Secondo me queste sono tutte cose che si dicono la sera visto che mancano i poeti, quando ci si trova in dieci o dodici a chiacchierare in attesa del sonno. La cosa vera è che, piano piano, le bande si ridussero a due (cinesi a parte). Una aveva sede in zona Duomo, l'altra nella vecchia abbazia di Chiaravalle. La prima dominava in città, la seconda imperversava appena fuori. Ci fu un assedio. La seconda alla fine risultò la più potente perché controllava le merci che arrivavano in città. La prima capitolò, e la seconda, non appena entrata in Milano, ne uscì quasi subito, disgustata. Adesso c'è chi controlla certe zone della città, mentre altre zone sono semplicemente fuori controllo. Qualcuno sostiene che nel Duomo non ci si può nemmeno entrare a causa del lezzo di morte prodotto da mucchi di cadaveri in decomposizione.

Questo per fortuna non succede dappertutto. Milano è perlopiù un susseguirsi di ruderi scarsamente abitati. Molti vecchi cortili condominiali, giardini pubblici, viali e piazze sono stati sgombrati delle macerie e adibiti a orti. Questo ha reso ancora più difficoltosi gli spostamenti: già quelle che un tempo chiamavamo le vie cittadine sono ridotte a giungle di sterpi interrotte da cumuli di calcinacci. Ma ormai siamo tutti esploratori e scalatori, compresi gli anziani e i cardiopatici.

Dalle mie parti, ad esempio, c'è una specie di immenso orto, che occupa la sezione centrale di un vecchio viale molto ampio, viale Argonne, appunto, dove abitai da sposato.

Chi coltiva la terra sono generalmente i vecchi. Non perché qualcuno di loro abbia mai fatto il contadino, ma perché erano in molti, qualche decina d'anni fa, a coltivare le piante in salotto, e qualcuno aveva visto perfino i veri contadini all'opera.

Col tempo, i giovani si sono resi conto dell'utilità dei vecchi e della loro lunga memoria, e hanno smesso di ammazzarli. Un giovane oggi non ha la più pallida idea di come si semini una pianta e di come la si possa far crescere. Di vecchi che si ricordano come si fa ne restano molti. Qua e là si assiste a uno spettacolo inimmaginabile solo un paio di anni fa: giovani che aiutano i vecchi a seminare, piantare, innaffiare per imparare a loro volta.

L'altro giorno fermo uno di questi ragazzi. «Scusa», gli chiedo, «ma dopo che avrai imparato come si coltivano gli ortaggi ucciderai il tuo vecchio?». «No», ha risposto.

Questa conversazione, abbastanza breve, non mi sembra del tutto priva di senso. C'è qualcosa da imparare dalla risposta di quel ragazzo, che un paio d'anni fa, ne sono certo, non avrebbe esitato a uccidere pur di entrare in possesso di un fiammifero.

Com'è

bello sapere che, alla fine, Aristotele aveva ragione. Nell'atto di ricevere una conoscenza noi diventiamo meno violenti. La violenza, che prima commettevamo quasi per gioco, d'un tratto per qualcuno diventa meno piacevole.

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