"Una crisi partita da lontano": così è morto il sogno americano

Il sogno americano come ideale di libertà e di mobilità sociale verso l'alto è in crisi. Disuguaglianze sociali e politica dell'identità ne suggellano il tramonto. Controstoria di un mito

"Una crisi partita da lontano": così è morto il sogno americano

Dalla Grande Depressione a oggi, la letteratura e la cinematografia americana è costellata di riferimenti al cosiddetto "sogno americano". Ma che cos'è il "sogno americano"? Secondo il Bush Institute, nell'immaginario collettivo l'American dream corrisponde alla mobilità sociale verso l'alto o al classico "self-made man", all'America come terra di opportunità per gli immigrati. Un luogo dove tutti, anche cominciando da zero, possono avere successo. Per l'Oxford English Dictionary il sogno americano rappresenta l'ideale secondo cui ogni cittadino degli Stati Uniti "dovrebbe avere pari opportunità di raggiungere il successo e la prosperità attraverso il duro lavoro, la determinazione e l'iniziativa". Una mentalità tipica del capitalismo statunitense: nel saggio L'etica protestante e lo spirito del capitalismo il sociologo Max Weber sostiene non a caso che il capitalismo è nato dalla dottrina calvinista poiché il dinamismo nel perseguire la propria vocazione ha prodotto una dedizione maggiore nel lavoro ed era il segno di essere predestinato alla salvezza.

Per lo storico James Truslow Adams, tuttavia, il sogno americano non era solo una questione di successo materiale. È qualcosa di metafisico. Per Adams, l'elogio del capitalismo rappresentava il fallimento del "sogno americano di una vita migliore, più ricca e più felice per tutti i nostri cittadini di ogni ceto". L'American dream non era, spiegava, "semplicemente l'ambizione di avere automobili e salati più alti" ma "il sogno di un ordine sociale in cui ogni uomo e ogni donna possano raggiungere la più piena consapevolezza di cui sono innatamente capaci, ed essere riconosciuti dagli altri per quello che sono, indipendentemente dalle circostanze fortuite di nascita o posizione". Era lo stesso concetto richiamato dal dottor Martin Luther King Jr. in merito alla lotta per i diritti civili nel 1963, quando disse: "Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho un sogno, oggi!". Oggi, tuttavia, quel sogno sembra non esistere più.

Il tramonto del sogno americano

L'America è certamente la terra delle possibilità, del self-made man, dei rampolli, delle feste esclusive a Manhattan, della rivoluzione rock di Elvis Presley prima e del sogno hippie di Woodstock del 1969, della libertà come valore fondamentale, di una democrazia che, con i suoi limiti già evidenziati da Tocqueville, rappresentra ancora un modello per molti e stella polare del mondo cosiddetto "occidentale"; ma anche delle disuguaglianze sociali più radicate, dei milioni poveri e senza tetto, delle contraddizioni più profonde. Dove non tutti hanno le stesse possibilità di avere successo e chi è ricco diventa sempre più ricco. L’ascensore sociale, infatti, si è inceppato da tempo. Lo stesso Barack Obama, nel 2014, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, ha riconosciuto che "la mobilità verso l’alto si è fermata". La globalizzazione ha impoverito la classe media e arricchito solo una minoranza degli americani, creando una voragine fra élite e popolo. Secondo gli ultimi dati, il tasso di povertà ufficiale nel 2020 era dell'11,4%, in aumento di 1,0 punti percentuali rispetto al 10,5% del 2019. Questo significa che nel 2020 le persone in povertà erano 37,2 milioni, circa 3,3 milioni in più rispetto al 2019. Al contrario, i Paperoni americani, anche con la pandemia di mezzo, sono diventati sempre più ricchi: secondo Forbes, infatti, il patrimonio netto collettivo dei miliardari del Paese, secondo un report dell’Institute for Policy Studies e Americans for Tax Fairness, è cresciuto lo scorso anno di 1.100 miliardi di dollari.

Secondo il report, basato sui dati di Forbes, la fortuna combinata dei 660 miliardari americani al 18 gennaio 2021 era salita a 4.100 miliardi di dollari, rappresentando un aumento del 38,6% rispetto al loro patrimonio netto collettivo a metà marzo del 2020. In media, le fortune dei 15 miliardari più ricchi sono aumentate del 58,7%, mentre per alcuni, come Elon Musk, sono aumentate di oltre il 500%. All’inizio della pandemia c’erano 614 miliardari negli Stati Uniti; ora sono 660, con 46 nuovi miliardari. Ma non c'è solo la questione sociale ed economica a mettere in discussione il sogno americano: anche la politica divide sempre di più il popolo. Con l'ascesa della politica identitaria, infatti, l'opinione pubblica si è sempre più polarizzata fra progressisti "woke" ossessionati dalle minoranze e ultra-conservatori. L'omicidio di George Floyd e le violente proteste antirazziste, nonché l'assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 poi, sono un sintomo di una società atomizzata, sempre più in crisi d'identità.

I lati oscuri dell'American dream raccontati da film, libri e musica

Grandi opere letterarie e della cinematografia hanno raccontato, nel corso dei decenni, le contraddizioni e i lati oscuri dell'American Dream. Fra le opere più celebri e iconiche c'è sicuramente Scarface, pellicola del 1983 diretta da Brian De Palma e scritta da Oliver Stone, remake dell'omonimo lungometraggio del 1932 diretto da Howard Hawks. Come nota Gli Stati Generali, il protagonista, l'immigrato cubano Tony Montana, incarna la sfumatura di American Dream più anarchica, cerca non la libertà in senso comunitario e civile, ma una libertà individuale che permetta alla sua infinita figura di agire indisturbata, nel caso lo ritenga giusto, e di non fare, nel caso contrario; è il significato di libertà tipico chi è stato oppresso, di chi ha un fortissimo carattere nonostante sia stato limitato da un sistema.

E se nella letteratura il mito del sogno americano è stato sviscerato da Francis Scott Fitzgerald, autore de Il Grande Gatbsy e da Jack Kerouac (Sulla Strada), fino ai maestri contemporanei come Bret Easton Ellis e Chuck Palahniuk, anche il mondo della musica è ricco di riferimenti al sogno americano e ai suoi lati più oscuri. Impossibile non citare, in tal senso, le canzoni del "Boss" Bruce Springsteen, a cominciare dalla celebre Born in The Usa, brano tutt'altro che patriottico.

"Nato in una città di morti/Il primo calcio che ho preso è stato quando ho toccato terra/Finisci come un cane che è stato maltrattato troppo a lungo/Fino a che non passi metà della tua vita cercando un rifugio/Nato negli U.S.A" canta Springsteen, raccontando il dramma e il fallimento della Guerra in Vietnam. Un mito che già al tempo era in profonda crisi.

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