La cultura di destra ha vinto Ma non diventa mai politica

Un libro ripercorre le vicende decennali del "think tank" Magna Carta e mostra come le idee conservatrici abbiano conquistato la società ma non il Parlamento

La cultura di destra ha vinto Ma non diventa mai politica

L a sinistra, quando parla di «cultura di destra», non riesce o forse non vuole andare oltre la caricatura. Ieri, per dire, la Stampa ha pubblicato una doppia pagina sull'egemonia culturale della destra. Toh, stai a vedere che se ne sono accorti, meglio tardi che mai, ci siamo detti qua in redazione. Invece l'articolo metteva in fila la solita serie di luoghi comuni sul berlusconismo come appendice della società dello spettacolo, come letale mix di spensieratezza e aggressività «neoliberista» in grado di plagiare un'intera nazione. Grottesco. Chiunque sia uscito di casa almeno una volta negli ultimi vent'anni, e abbia dato un'occhiata in giro anche veloce, è consapevole di una realtà molto diversa. I pilastri della cultura di destra, infinitamente ampia e frammentata al suo interno, sono altri e non hanno a che vedere col Drive In (per altro bellissima trasmissione, avercene).

Una idea sintetica, senz'altro parziale ma non imprecisa di cosa sia «cultura di destra» si può ricavare dalla lettura di Think tank all'italiana (Rubbettino) di Margherita Movarelli. È la storia della Fondazione Magna Carta, nata nel 2003 per iniziativa di Marcello Pera, che iniziò a prendere le distanze dalla sua creatura intorno al 2006, e Gaetano Quagliariello, oggi ministro del governo Letta. Il saggio è stringato ma efficace, l'autrice embedded ma non acritica. Come dimostra il titolo stesso. «All'italiana» sottolinea infatti una caratteristica, ma anche un limite, di Magna Carta, ovvero il legame divenuto sempre più stretto con la militanza politica. Le Fondazioni come correnti di partito? Il rischio esiste, ed è una peculiarità non riscontrabile nelle analoghe istituzioni anglosassoni.

La Fondazione risponde alla necessità di offrire gli strumenti culturali necessari al nuovo centrodestra creato da Silvio Berlusconi. In questa operazione Magna Carta non è stata l'unica e neppure la prima protagonista. Ricordiamo le altre esperienze citate nel libro: il bimestrale Ideazione, che divulgò i maestri del liberalismo, da Von Hayek ad Aron, da Popper a Von Mises; la Convenzione per la riforma liberale promossa da Marco Taradash, Giuliano Ferrara, Lucio Colletti e altri; la Fondazione Liberal di Ferdinando Adornato, possibile terreno d'incontro tra liberali laici e cattolici; la Free Foundation, tuttora attivissima, di Renato Brunetta, attenta ai grandi temi dell'economia come sanno bene i lettori del Giornale. Manca, e quindi lo aggiungiamo noi, Il Foglio: l'evoluzione del quotidiano di Giuliano Ferrara offre un'importante chiave di lettura delle vicende del centrodestra (e sarebbe un ottimo soggetto per un altro libro).

In Think tank all'italiana è facile individuare la proposta culturale del liberalismo conservatore propugnato da Magna Carta e, a nostro avviso, maggioritario nell'elettorato, non solo del Pdl. Riforme istituzionali: maggior potere all'esecutivo (con o senza presidenzialismo), Statuto dell'opposizione, bipolarismo. Occidente: centralità dell'asse con gli Stati Uniti, esigenza ancora più forte nell'epoca del terrorismo islamico. Europa: riscoperta della tradizione giudaico-cristiana come premessa indispensabile dell'unione politica. Cattolicesimo: confronto e incontro con la Chiesa sulla base della comune avversione per il relativismo dogmatico. Va ricordato, a questo proposito, l'intenso dialogo tra Marcello Pera e l'allora cardinale Joseph Ratzinger. Ma anche qualche polemica, quando il dialogo sembrò scivolare verso un appiattimento sulle posizioni del Vaticano in materia di bioetica. Liberismo: l'adesione al mercato, e al suo primato anche morale, non è unanime neppure nel centrodestra, altro che «neoliberismo» selvaggio»... «Meno Stato e primato della sussidiarietà» comunque è una formula che mette d'accordo quasi tutti.

E ora il domandone finale, quello decisivo, a cui il libro, intelligentemente, non si sottrae: tutto questo si è tradotto in politica? Solo in minima parte. Molte colpe si possono imputare ai limiti evidenti del Pdl. Ma non tutte.

Non scordiamoci che il centrodestra ha dovuto fare i conti con macchine burocratiche forti come un partito, con una opposizione non all'altezza perché ossessionata dal nemico e con le invasioni di campo della magistratura. Tutto vano, quindi? No. Sul piano culturale, le energie sprigionate nell'ultimo ventennio hanno lasciato il segno.

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