Un diario di guerra, scritto sul campo e senza ricorrere alla memoria. Mentre l'Italia combatteva il suo primo conflitto Mondiale, Benito Mussolini viveva le trincee nei panni del bersagliere semplice. Dal dicembre 1915 al febbraio 1917, nel bel mezzo degli scontri, Mussolini scrisse le pagine del suo diario, poi apparso a puntate sul "Popolo d'Italia" e pubblicato nel 1923 in un volume unico.
Gli scritti del Duce combattente sono stati per lungo tempo dimenticati. E non solo perché i diritti di pubblicazione sono scaduti solo con la fine del 2015, ma anche e soprattutto perché "è stato considerato dai critici uno scritto strumentale e propagandistico". In occasione del centenario della Grande Guerra, Alessandro Campi - politologo e professore all'Università di Perugia - ne ha curato una edizione storico-critica per conto dell'editore Rubbettino (Giornale di guerra, pp. 350, euro 14, con foto e illustrazioni) in libreria dal prossimo 16 gennaio.
Professor Campi, perché rileggere i Diari del Duce?
Perché è una delle cose migliori mai scritte da Mussolini. Ha un carattere asciutto, sobrio, essenziale. Non può che colpire la novità dello stile mussoliniano. Inoltre, Mussolini è stato uno dei primi (già nell’inverno del 1915) a raccontare il logoramento e l’abbrutimento della guerra di trincea. Ma il diario è anche pieno di annotazioni interessanti sulla psicologia dei combattenti, sul rapporto tra ufficiali e truppe, sulla nascita al fronte di quello spirito da “comunità guerriera” che avrebbe poi contribuito alla nascita del fascismo.
Eppure lei invita il lettore a non leggere questi testi alla luce del Mussolini capo del governo fascista.
I pochi studiosi italiani che si sono occupati di questo scritto, ad esempio Mario Isnenghi e Luisa Passerini, lo hanno interpretato come l’inizio del “culto del duce”. Ma così si commette un errore di prospettiva storica. Quando Mussolini cominciò a scrivere il suo diario non aveva ovviamente la più pallida idea di cosa avrebbe fatto finita la guerra.
Mi vuole dire che non ci fu alcun intento strumentale da parte del futuro Duce?
Mussolini faceva politica. Aveva appena rotto col socialismo ufficiale divenendo uno dei capi del fronte interventista. Nello scrivere il diario perseguiva indubbiamente degli obiettivi politici. Ad esempio, raccontando i pericoli incontrati al fronte, voleva scacciare da sé la nomea di imboscato e di vigliacco addossatagli da neutralisti, socialisti e cattolici. Lo accusarono di aver voluto l’ingresso dell’Italia in guerra e poi non essersi arruolato volontario. E dopo esser partito perché richiamato, che in realtà si era imboscato in qualche ufficio o si era dato malato. Al tempo stesso, Mussolini aveva da difendere pubblicamente la causa degli interventisti, una minoranza per niente amata dagli altri combattenti. Quando nel diario Mussolini racconta di quanto sia benvoluto dagli altri soldati e dagli stessi ufficiali, lo fa perché vuole dimostrare a chi lo legge che gli interventisti come lui sono tutt’altro che odiati e disprezzati. Ma dire ciò è cosa diversa dal considerare il suo diario lo strumento attraverso il quale Mussolini cercò di costruire in modo cosciente e deliberato la sua nuova immagine pubblica.
Chi era Mussolini come soldato?
Fu un combattente semplice, arrivato al grado di caporale maggiore. Quando provò a partecipare ad un corso per ufficiali, prima fu chiamato, poi rimandato a casa senza alcuna spiegazione. Gli alti comandi non amavano né i volontari, né gli interventisti. E Mussolini in particolare aveva la fama di testa calda. Nel complesso fu un buon soldato, disciplinato e rispettoso dell’autorità, come peraltro la maggioranza di coloro che fecero la guerra anche senza condividerne le motivazioni. Oggi va di moda enfatizzare il “coraggio” dei disertori e dei renitenti, ma forse bisognerebbe prima ricordare quelli che la guerra l’hanno semplicemente fatta, per amor di patria e senso del dovere, senza per questo essere degli esaltati guerrafondai o considerarsi degli eroi.
Che tipo di lavoro ha fatto su questo testo?
Non è un’edizione critica in senso proprio perché manca il manoscritto originario sul quale operare il confronto tra quest’ultimo e tutte le edizioni a stampa: quella apparsa a puntate sul Popolo d’Italia e quelle successive in volume. Ma ho egualmente fatto un lavoro di comparazione tra tutte queste diverse versioni che mi ha permesso di individuare e segnalare al lettore i cambiamenti intervenuti tra di esse, comprese le censure vere e proprio imposte da Mussolini a partire dal 1923.
Ad esempio?
Nel diario originario c’era diversi passaggi che esprimevano un atteggiamento insofferente (persino sprezzante) nei confronti della religione e della Chiesa, che il Mussolini capo del governo fece ovviamente sparire in tutte le edizioni del diario pubblicate a partire dal 1923. Le ho puntualmente segnalate. Il testo è accompagnato da più di trecento note a pie’ di pagina. Mussolini ha combattuto su tre diversi fronti: l’Alto Isonzo, la Carnia e il Carso friulano. Nel diario cita fiumi, montagne, valli, paesi che si fatica a posizionare in modo esatto. Ci sono quindi parecchie note di carattere geografico. E altrettante di tipo storico: i personaggi che cita, i molti militari e commilitoni protagonisti del suo racconto: ho cercato di ricostruire, in modo essenziale, la storia di ognuno di essi.
Come leggere, in conclusione, questo diario?
Come un documento storico scritto a caldo e in presa diretta.
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