Se foste entrati in uno zoo di animali e vi avessero detto che all’interno di una gabbia apparentemente vuota ci sono delle bestie, ma che non potete vederle se non grazie ad alcuni complicatissimi esperimenti, giustamente avreste chiesto indietro il prezzo del biglietto. Nelle ultime due settimane abbiamo parlato di uno “zoo di particelle”, particelle ritenute fondamentali scoperte in grandi quantità all’inizio del secolo scorso. Abbiamo visto come lo sforzo per trovare loro un’organizzazione portò a scoprire l’esistenza di particelle ancora più fondamentali: quark, leptoni e bosoni di interazione, a loro volta ordinati in quella “strabiliante teoria del quasi tutto”, il “modello standard”. E fin qui, vale il prezzo dell’ingresso. Sappiamo però che per formare gli atomi della materia stabile che conosciamo servono solo elettroni, quark “up” e quelli “down” (per un ripasso, leggete qui), mentre tutte le altre particelle possono essere osservate solo in esperimenti ad alte energie (come al CERN) o nei raggi cosmici. A questo è punto è lecito chiedersi: possibile che queste particelle siano visibili solo in esperimenti di collisioni ad alta energia e non anche in qualche altra parte dell’Universo? Detto in altre parole: lo zoo di particelle può essere osservato nella sua interezza, oppure dobbiamo chiedere indietro il prezzo del biglietto?
Molto prima dell’avvento dei moderni acceleratori di particelle (uno dei primi grandi esperimenti, lo SLAC, è del 1966), lo zoo di particelle cominciò a popolarsi grazie alla scoperta e allo studio dei raggi cosmici. Scoperti nel 1912 grazie a un pazzo che portò un rilevatore di radiazione a più di 5000 m di altezza su di una mongolfiera, i raggi cosmici sono particelle (prevalentemente neutroni, ma anche atomi di elio) che arrivano sulla terra prodotti da eventi galattici ad altissime energie. La loro interazione con gli elementi che compongono l’atmosfera terrestre produce quella che in gergo si chiama una “doccia di particelle”: vengono prodotte particelle che poi a loro volta interagiscono con altre particelle o decadono creando prodotti secondari, terziari e via dicendo, nella classica forma “a doccia” illustrata in figura.
Fra queste particelle fu possibile osservare per la prima volta il muone, il “fratello” di seconda generazione dell’elettrone, e particelle chiamate “kaoni”, che decine di anni dopo con l’introduzione del modello dei quark, si capì fossero particelle composte da quarks up o down legati al quark strange. Sia il muone che il quark strange sono entrambi particelle della colonna 2. La risposta alla domanda è quindi sì, non le vediamo solo negli acceleratori di particelle, e nemmeno in qualche parte remota dell’Universo conosciuto, ma qui sulla Terra. Pensate che, se ci avete messo 30 secondi a leggere fino a qui, la vostra testa sarà stata attraversata in media da 30 muoni! E quelli della terza colonna, vi chiederete? In questo caso è ipotizzata la possibilità di osservarli in raggi cosmici di altissima energia. Tuttavia, il flusso di raggi cosmici diminuisce al crescere dell’energia degli stessi, e inoltre più energetici sono più è difficile osservarli. Quindi per ora non abbiamo evidenze al di fuori degli esperimenti di collissioni di particelle per le particelle della terza colonna. Con un’eccezione: il neutrino tauonico. Lo studio dei raggi cosmici ha infatti confermato sperimentalmente per la prima volta l’esistenza di un fenomeno chiamato “oscillazione dei neutrini”. In poche parole, visto che ne parleremo in un articolo dedicato, un neutrino di una generazione può trasformarsi in uno di un’altra generazione senza fare nessun decadimento o senza interagire con altre particelle. Un neutrino muonico prodotto nella doccia di un raggio cosmico, quindi, può diventare un neutrino tauonico prima di venire “visto” dai nostri “telescopi” per neutrini.
Arriviamo allora ad un’altra delle vostre domande. Eravamo partiti dal dilemma di Aristotele e Democrito, cioè se a forza di scoprire particelle sempre più elementari andremo avanti all’infinito oppure un giorno incontreremo dei mattoncini essenziali indivisibili. Per ora una risposta non c’è, e chissà mai se il dilemma potrà essere risolto. Forse no. Per questo qualcuno di voi si è chiesto: ma è davvero necessario spendere tutte queste risorse per rispondere a Democrito se per comprendere e sfruttare i fenomeni più familiari bastano e avanzano tre particelle: elettroni, protoni e neutroni? “Tutto il resto è filosofia”.
Ci pare insomma vi stiate chiedendo: a che serve la ricerca in fisica delle particelle, al di là ovviamente di ampliare la nostra conoscenza sugli oggetti più piccoli del nostro mondo, insomma ampliare la cultura dell’umanità? Quali sono le applicazioni nella nostra vita quotidiana? Beh, molte più di quello che vi aspettate. Vi basti pensare che è grazie a questo tipo di ricerca se riuscite a leggere questo articolo. Ma procediamo con ordine.Se consideriamo le applicazioni che fanno direttamente uso delle nuove particelle scoperte, al di là di neutroni, protoni ed elettroni, queste sono ancora limitate. Una, la Tomografia ad Emissione di Positroni, l’abbiamo descritta qui. Chiaramente ci vorrà del tempo per sviluppare applicazioni di queste scoperte recenti, così come ci è voluto tempo per sfruttare la conoscenza acquisita con le ricerche antesignane alla moderna fisica delle particelle, come quella sulla radioattività e poi su neutroni, protoni ed elettroni.
Eppure, la nostra vita quotidiana è già intrisa di tecnologie che sono state sviluppate sotto la spinta della ricerca in fisica delle particelle ad alte energie. La realizzazione di esperimenti per osservare le particelle, infatti, ha posto e continua a porre moltissime sfide: sono necessarie tecnologie in grado di accelerare e dirigere i fasci di particelle e per rilevare le particelle prodotte nelle collisioni; servono strumenti e tecniche per controllare gli esperimenti e per immagazzinare, analizzare e visualizzare quantità di dati esorbitanti; ed è necessario riuscire a condividere queste informazioni rapidamente tra laboratori sparsi nel mondo che collaborano agli stessi studi. E tutti questi strumenti non possono essere ordinati scegliendo da un catalogo, ma devono essere sviluppati di volta in volta spingendo i limiti delle nostre tecnologie sempre un po’ più in là. Le nuove invenzioni trovano poi tantissime applicazioni al di là di questi esperimenti.
Giusto per citare alcuni esempi: i materiali superconduttori sviluppati per dirigere i fasci di particelle da far collidere negli acceleratori sono fondamentali in medicina per il funzionamento della Risonanza Magnetica, o nei treni a levitazione magnetica; gli acceleratori di particelle vengono utilizzati nel trattamento di diversi tipi di tumori con una stima di circa 30 milioni di pazienti che hanno ad oggi usufruito di queste tecnologie, ma anche nello studio della struttura delle proteine o dei virus per lo sviluppo di nuovi medicinali; i rilevatori di particelle sviluppati per gli esperimenti in fisica vengono utilizzati in strumenti di diagnosi medica, ma anche per monitorare il corretto funzionamento e la sicurezza dei reattori nucleari.Una soluzione intelligente sviluppata al CERN per poter controllare grossi esperimenti ha portato all’invenzione del touchscreen; mentre la necessità di registrare e immagazzinare una mole di dati enorme (1 secondo di collisioni generano 1 Petabyte, cioè 1000000000 GB di dati) ha accelerato lo sviluppo di hard disk più sofisticati e grossi server.
E per finire, “last but not least”, la necessità di condividere velocemente le informazioni sugli esperimenti ha spinto i ricercatori del CERN a sviluppare una tecnologia che miliardi di persone usano giornalmente, continuamente, e che state usando anche voi in questo momento il World Wide Web. Senza “l’inutile” studio delle particelle, insomma, non avremmo internet.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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