Ecco il romanzo italiano della decrescita infelice

La lotta per la sopravvivenza dei piccoli imprenditori del Veneto tra crollo immobiliare, cartelle esattoriali e vita privata in macerie

Ecco il romanzo italiano della decrescita infelice

Tante volte ho speso per Romolo Bugaro, e per i suoi piccoli Gatsby veneti, il riverito nome di Francis Scott Fitzgerald. Stavolta tiro in ballo addirittura Émile Zola, non certo pensando al polemista fazioso ma al romanziere impassibile di Nanà, il narratore programmaticamente oggettivo di drammatiche parabole esistenziali. La descrizione di ascese e cadute (soprattutto cadute) è la specialità dei due, del parigino e del padovano, ma Bugaro grazie a Dio è supercontemporaneo e quindi ci risparmia la morte per tisi o per vaiolo dei suoi personaggi. Che poi non è così totalmente tragico, Effetto domino (Einaudi, pagg. 236, euro 19,50): il protagonista Franco Rampazzo, per quanto acciaccato e vedovo, in qualche modo sopravvive. E quando passa in altre, più scaltre, mani, l'operazione immobiliare che è causa della sua rovina riprende quota. Ma è un romanzo totalmente deterministico proprio come i romanzi di Zola e degli altri scrittori francesi di quel giro. Un esempio: «Cinque ipoteche volevano dire tante cose: direttori di banche che telefonano alle sette di mattina, ufficiali giudiziari sulla porta di casa, mogli con la crisi isterica». Non c'è scampo in Bugaro, che di mestiere fa l'avvocato e queste faccende le conosce: l'esito di cinque ipoteche è inevitabilmente quello. Bisognerebbe credere nei miracoli per immaginarsi uno svolgimento diverso ma Bugaro nei miracoli non crede o se crede lo nasconde bene.

Effetto domino , leggermente e ingiustamente penalizzato dal titolo poco letterario e molto di genere, è il romanzo della decrescita infelice, del crollo immobiliare, della guardia di finanza tignosa e di un'Equitalia implacabile. Fosse scritto male sarebbe comunque consigliabile a chiunque abbia una partita Iva, un'industria, un commercio, uno studio professionale, siccome è scritto magistralmente è letteratura e in quanto tale universale: potrebbe piacere anche a un pensionato iscritto alla Cgil. Ambientato senza ostentazione (niente vernacolo, niente spritz) a Padova e dintorni, racconta la struggle for life di piccoli costruttori, piccoli fornitori, piccoli consulenti finiti dentro un'operazione immobiliare più grande di loro, ben ventidue palazzi nello stile disumano alla moda e quindi firmati da Rem Koolhaas. Sono titolari di impresucce sempre a un passo dal fallimento, ogni giorno bastonati dai Comuni: «Esistevano tanti tipi di figli di puttana, ma nessuno peggiore degli architetti e geometri comunali, soprattutto nei piccoli centri, soprattutto col sindaco giusto alle spalle». Dallo Stato: «La guardia di finanza s'era presentata in azienda. Andavano e venivano come ufficiali del Reich». E ovviamente dalla crisi: «Il mercato sembrava svanito: niente più committenti interessati alle operazioni, niente più banche disponibili a finanziarle, eclissi di ogni orizzonte commerciale». Tutti i colpi feriscono e l'ultimo, sparato dal nuovo responsabile della gestione crediti di una banca di Milano, uccide. Il vecchio responsabile aveva concesso venticinque milioni, il nuovo chiude i rubinetti perché ventidue palazzi di Rem Koolhaas nel Veneto impoverito non si capisce a chi possano interessare. E qui scatta l'effetto domino.

Bugaro è osservatore di finezza impressionante, è scrittore onnisciente che dell'ambiente oggetto della sua analisi conosce ogni dettaglio tecnico, e penso al lessico edilizio, e ogni risvolto sociale, ad esempio lo status legato a certi modelli di automobile (Mercedes classe E, Bmw M6...) e non ad altri. Davanti a determinati locali di Padova, ma forse non solo di Padova, sembra che parcheggiare una macchina non tedesca sia quasi vietato. Fa paura il suo sguardo a cui nulla sfugge, fa ancora più paura la descrizione che è il risultato dello sguardo. «Ha lavorato vent'anni dalla mattina alla sera per cosa? Combattere giorno dopo giorno per i trecento euro che mancano in cassa per pagare il toner della stampante, la bolletta della Telecom». Impossibile non solidarizzare con questi uomini di mezza età stritolati dal meccanismo economico, inseguiti dalle segnalazioni a sofferenza e dai pignoramenti. Le ditte di Bugaro sono come le bettole di Zola: ammazzatoi, luoghi dove si perdono soldi e salute.

Leggere un così realistico romanzo sull'impresa oppressa non mette voglia di mettersi in proprio, non stimola ad assumere operai e segretarie, garantisce però il piacere di frasi perfette come questa: «Elena, una biondina maniaca del footing, della palestra, di tutti gli sport; grazie alla vita attiva e alle diete bio, a quarant'anni ne dimostrava sessanta».

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