Enrico Ruggeri legge Kafka

Ognuno ha la sue fobie e le sue debolezze, ognuno ha il suo punto debole, il suo spazio di irrazionalità. E se come Gregor Samsa ti ritrovi insetto? È la domanda che Kafka fa ad ognuno di noi

Enrico Ruggeri legge Kafka

Ognuno ha la sue fobie e le sue debolezze, ognuno ha il suo punto debole, il suo spazio di irrazionalità: il mio è rappresentato dagli scarafaggi, mi paralizzo davanti a loro, non riesco a ucciderli e nemmeno a portarli fuori dal luogo nel quale mi trovo. Ho lasciato stanze d'albergo in piena notte pur di non interagire con quello che rappresenta il mio incubo!

Come spesso accade, l’oggetto del mio terrore mi respinge ma contemporaneamente mi attira, capita anche a quelli che soffrono di vertigini e magari pensano per un attimo di affacciarsi alla finestra per assaporare quella paura così irrazionale. Anche per questo, credo, non c’è stata una fase della mia vita nella quale io non abbia riletto La metamorfosi: ogni volta ho trovato qualcosa di nuovo, con l’età è cresciuta la mia presa di coscienza su quella che è una delle più grandi metafore sulla condizione umana.

Il breve romanzo di Kafka è un viaggio terribile attraverso le miserie dell’individuo, è fantascienza, è distopia, cinismo, disperazione e pietas: è tutto e il contrario di tutto. Ti trovi immerso in quella situazione irreale e capisci che non ha più senso porsi la domanda "perché è successo?": l'autore non ha nessuna intenzione di dare spiegazioni, si punta subito più in alto, o forse molto più in basso, andando a scavare tra alienazione e impossibilità di comunicazione tra esseri umani.


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Da oggi puoi ascoltare Ruggeri che legge Egar Allan Poe

Gregorio Samsa è un piccolo uomo, un commesso viaggiatore schiacciato dalle gerarchie, rispettoso e rassegnato: svegliatosi scarafaggio, non si chiede cosa sia accaduto esattamente, e dopo aver provato invano a riaddormentarsi per uscire da quel brutto sogno, antepone a tutto l'angoscia per il non poter andare in ufficio. L'allucinazione prende forma: la madre e la sorella lo chiamano ripetutamente, la preoccupazione si fa angoscia, fino al materializzarsi del suo peggior incubo, la visita di un suo superiore.

La denuncia dell'oppressione delle regole sociali di Kafka anticipa decenni di letteratura mondiale, tutti quelli che sono arrivati dopo di lui gli devono qualcosa: mentre ci porta a conoscere meglio il nostro sventurato protagonista ci dimostra l'impossibilità di conciliare le aspirazioni individuali, i sogni, i sentimenti, con la cruda realtà della vita piccolo-borghese. Gregorio non è il solo ad essere cambiato, anzi, la vera metamorfosi è quella che coglie la sua famiglia: dal ribrezzo iniziale emergono tensioni latenti, rancori e disprezzo.

Lui, che è l’unica fonte di sostentamento per tutti, è rimasto imprigionato dal suo altruismo, la sua gentilezza è diventata il suo obbligo e la sua croce, le premure di cui è circondato non sono altro che un modo per ricordargli tutti gli impegni presi, gli orari, gli oneri senza onori che la vita gli ha riservato. Si è incaricato di sostenere gli altri, e come sempre accade, gli altri si sono dimostrati ben lieti di scaricare il loro peso su di lui: quel figlio così amorevole è la vera scusa per non cambiare, per accantonare le ambizioni, per lasciarsi vivere senza responsabilità! Ed è lui che finisce per sentirsi in colpa, impossibilitato com'è a sostenere la vita di chi, invece che aiutarlo, comincia progressivamente a provare rancore nei suoi confronti: si è trasformato in un essere immondo forse perché immondo lo è da sempre!

In quel triste scenario domestico Kafka inserisce un "realismo magico", l'elemento soprannaturale, che, ormai diventato un dato di fatto, trasforma tutto e tutti, in peggio. L'autore gioca sui dettagli, ci mostra la scrivania, i muri, i quadri della stanza dello sciagurato Gregorio, fotografa quel misero ma dignitoso studio diventato una tana, un luogo nel quale nessuno osa metter più piede, mentre l'uomo-insetto si nasconde sotto al divano per non urtare i nervi dei suoi parenti: nasce una nuova quotidianità, mentre lui che era il perno della famiglia diventa un estraneo, una vergogna da nascondere, un reietto e un colpevole.

Padre, madre e sorella devono rimboccarsi le maniche, devono tornare a lavorare: la loro piccola risalita sociale è impedita proprio da chi aveva lasciato da parte i suoi sogni per ottemperare ai suoi doveri. E allora non può esserci nessuna pietà, soprattutto da parte del padre, che riporta a galla conflitti latenti e si dimostra da subito il meno compassionevole: tutti i progetti si scontrano con la realtà, non si può cambiare casa, non si può affittare una camera, Gregorio è il peso e l'ostacolo.

Dopo aver cercato invano di difendere la sua dignità davanti al male di vivere, capisce che i suoi familiari gli stanno chiedendo in tutti i modi un ultimo atto d'amore: deve abbandonare quella vita che, ora che è diventato un peso, non merita più di essere vissuta. Sarà una rude domestica a togliere dall'impiccio i tre spietati e tristi sopravvissuti, liberandoli di "quella cosa": cessato il suo ruolo di unico sostegno viene meno anche la persona.

Come il povero Ivan Il'ič di Tolstoj anche Gregorio Samsa deve uscire di scena. "La vita è passata e non me ne sono accorto", dice il vecchio servitore nella scena finale de Il giardino dei ciliegi: anche Gregorio Samsa ha chiuso il suo percorso terreno senza sussulti, tra giorni tutti uguali, sacrificando sé stesso, vendendo per molto poco la sua anima.

Forse l’ultimo periodo della sua esistenza è stato il più glorioso, imponendo a tutti i suoi familiari la sua assenza dagli obblighi, proprio in virtù della ripugnante presenza nella sua nuova condizione. Fino a chiudere il capitolo della sua vita con l'ultimo grande eroismo: il suo triste addio, senza lacrime e senza Sacramenti è la sua estrema grande rivincita.

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