Il nome di Elena Ferrante è ormai associato, come in una sorta di riflesso incondizionato, a L'amica geniale, tetralogia letteraria molto conosciuta, che ha suscitato ulteriore interesse grazie alla serie andata in onda sulla Rai. Ma c'è un altro concetto che viene associato alla misteriosa scrittrice, quello di smarginatura. Tanto nella famosa e già citata saga letteraria, quanto in altri scritti come La vita bugiarda degli adulti, Elena Ferrante si concentra proprio su questa perdita di margini, su questo assottigliamento tra la realtà esterna e ciò che un personaggio avverte dentro di sé.
Da questo punto di vista, La figlia oscura non fa alcuna differenza. Uscito per la prima volta nel 2006, La figlia oscura ha avuto una nuova edizione nel 2022, grazie alla trasposizione cinematografica fatta da Maggie Gyllenhall e in arrivo al cinema il 7 aprile, dopo la presentazione in anteprima al Festival di Venezia. Il romanzo, che è stato adattato talmente bene da ricevere anche una nomination ai premi Oscar come miglior sceneggiatura non originale, rappresenta un altro tassello della produzione della Ferrante, un altro modo per mettere sotto la lente d'osservazione il mondo femminile e il modo in cui esso cerca di liberarsi dalle imposizioni di una società non sempre a forma di donna.
La figlia oscura: tra dogmi e libertà
La storia è quella di Leda, una donna che dopo la partenza delle figlie per il Canada, si trova nella possibilità di riappropriarsi del proprio ruolo di essere umano, liberandosi dell'etichetta di madre. Di nuovo libera di essere se stessa, di pensare a sé prima che alle due figlie, Leda decide di partire per una vacanza in un paesino del Sud baciato da un mare cristallino, per leggere, lavorare e ritrovare se stessa. Tuttavia la vacanza verrà in qualche modo disturbata dalla presenza di una famiglia rumorosa, poco affidabile, che porta a eventi imprevedibili che minano la tranquillità della donna.
Pur nella sua brevità - il romanzo sfiora appena le centocinquanta pagine -, La figlia oscura è un libro che mostra le capacità di Elena Ferrante di scostare il velo di poeticità che accompagna per tradizione il mondo femminile e guarda in faccia la realtà, spingendo i lettori a fare la stessa cosa. Ecco allora che, nel libro, la maternità non diventa una vocazione, qualcosa a cui aspirare per stare bene con se stessi. La maternità che descrive Leda è un patto di sangue, un compromesso fatto per amor proprio più che per amore verso qualcun altro. Leda - che racconta la sua storia in prima persona, in una narrazione molto fluida - si sente "una madre snaturata" perché non riesce a restare all'interno di uno status quo, perché sente il suo essere madre come una prigione, qualcosa che soffoca. Qualcosa da cui scappare e che lascia tracce e ferite invisibili ma non per questo meno dolorose.
In un racconto che ha tratti surreali e grotteschi, Elena Ferrante affronta di nuovo il tema della smarginatura, dipingendo però l'egoismo di una donna che non sa più cos'è, chi è: che si sente staccata dagli altri, una bambola in mano ad altri che, per anni, hanno deciso come dovesse muoversi, cosa dovesse fare, quali parole dovesse pronunciare. La Ferrante, dunque, prende uno dei temi più vicini al mondo delle donne e non ha paura a farlo a pezzi, di naturalizzare uno stato d'animo comune a molte madri, che si sentono orribili quando non rispecchiano un dato ideale.
Ad affascinare il lettore è soprattutto lo stile lucido e distaccato che usa la Ferrante: senza
troppi giri di parole, senza facili manierismi o banalità messe lì in bella mostra, l'autrice utilizza quasi gli stilemi del thriller per raccontare una storia di autodeterminazione, di tentazioni e riscatto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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