Giuda? Non ha tradito e alla fine merita un bacio

Nel libro di Doninelli una radicale lettura cristiana della figura dell'Iscariota Ha agito per la (distorta) visione "economica" del mondo e può essere perdonato

Giuda? Non ha tradito e alla fine merita un bacio

Questo libro originale e potente di Luca Doninelli ( Fa' che questa strada non finisca mai , Bompiani, pagg. 144, euro 12; esce il 27 agosto) non è, per ammissione dell'autore, un romanzo storico. Non accetta le convenzioni del genere ed è estraneo allo spirito del romanzesco. Stringato e cogitante, è un monologo drammatico e filosofico, con qualcosa dell'opera di teatro e qualcosa del saggio. Sono rimasto incollato a queste pagine e le ho lette, a dispetto delle premesse, come un romanzo ben concepito, scritto con cura letteraria, lontano dal minimalismo straccione e dalla vanesia autofiction oggi imperanti. Siamo di fronte a tematiche che hanno profonda rilevanza etica, spirituale, metafisica, ma soprattutto a pagine che indagano nel mistero infinito dell'anima umana e dei suoi abissi.

Da I due fratelli del '90 sino a La nuova era e al più recente La polvere di Allah , Doninelli si è distinto, tra gli autori della sua generazione, per quella intensità dell'intuizione del tragico di cui parlò subito Pietro Citati. Qui affronta un fatto tragico accaduto due millenni fa con un linguaggio sorprendentemente contemporaneo. Chi parla, vissuto in tempi così lontani, ragiona come fosse vivo oggi, con qualche voluto anacronismo. La chiave di lettura è offerta dalle prime righe del libro: «Non essere d'accordo con qualcuno non è un delitto. Io amai quell'uomo sino alla fine, e cercai in tutti i modi di salvargli la vita». In capo a qualche pagina, capiamo che chi parla, con questo tono pacato e sulle difensive, è Giuda Iscariota. E che l'«uomo» di cui si parla è Yeoshua il Nazareno. Capiamo che Giuda riconosce subito di essere stato in disaccordo con Gesù, ma che nonostante questo vuole dirci che ha avuto simpatia e amore per lui, e che il suo non è stato un tradimento, ma un tentativo di salvarlo.

Giuda, che incontra Gesù durante il battesimo nel Giordano e che poi viene da lui stesso chiamato a salire sulla barca insieme ai suoi pescatori, destinati a diventare «pescatori di anime», Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, non è della pasta né del Nazareno né dei futuri apostoli. Non nasconde qualche risentimento verso Simone, dagli occhi bovini e dalla voce stucchevole, e giudica Giovanni un «tipetto sveglio» con il quale non andrà mai d'accordo. Giuda crede che ci possa essere amicizia profonda nella diversità. Ma ci parla di tutta la diversità che lo separa dal Nazareno. Muove persino una critica alla preghiera che lui ha insegnato, a quell'universale Padre Nostro che contiene l'essenza del credo cristiano. Giuda in realtà crede nell'insensatezza del mondo e della vita umana, crede nel caso, conosce la teoria greca della nascita dal Caos di Crono e di Zeus, dunque di Dio stesso. Ed è un uomo «economico», che cerca nel suo Dio un rifugio al disordine delle cose, mentre il Nazareno gli appare come «portatore di una inquietudine infinita», e il Padre Nostro come il «patto tra Dio e un viandante».

Non ci dice nulla di casa, famiglia, figli, base di ogni economia, risorsa contro ogni prevalere dell'istinto. Da uomo economico, Giuda detesta gli sprechi. Gli eccessi. E vede la vita del Nazareno costellata di atti di dismisura. Spreco per eccellenza sono gli effetti dei miracoli. Perché trasformare in vino le anfore d'acqua alle nozze di Cana, e moltiplicare con tanta abbondanza i pesci e i pani se poi una parte di quel vino e di quel cibo avanzerà e finirà chissà come? Spreco gli appare anche quello della prostituta di Magdala che usa due vasi di unguento per lavare i piedi del Nazareno. E non è uno spreco scandaloso, nella parabola del figliol prodigo, accogliere con tutti gli onori un «idiota che sperpera tutti i propri beni»? Persino risuscitare Lazzaro, uno destinato a morire di nuovo, è uno spreco nella ferrea e impietosa logica di Giuda. Il Nazareno invece è abitato da pietà e generosità, vuole vivere un «abbraccio carnale» con i poveri, vede poveri, lebbrosi, ciechi come «la carne di Dio».

Giuda lo studia, lo segue, forse lo ammira, ma non lo capisce. Ce lo descrive di statura medio alta, abbastanza magro, con un'espressione pensierosa, spesso a testa bassa, restio a ridere e sorridere, riluttante di fronte al compimento dei miracoli, terreo e triste di fronte al sepolcro di Lazzaro, capace di concentrazione misteriosa ma anche di ira come quando salva l'adultera dai farisei e scaccia i cambiavalute dal tempio. Giuda crede nella Legge. Di Mosè, dei profeti. E Yeoshua il Nazareno, che si dice Messia, vuole sovvertirla. A causa di ciò si è fatto tanti nemici. Ma Giuda non si mette tra questi. Anzi, lui lo consegna alle autorità perché vuole salvarlo, evitando che cada in mano a una folla inferocita. Così dice a chi ascolta e a se stesso. Ribalta la maledizione sinistra che pesa su di lui. Quello stesso terribile bacio, nelle sue intenzioni, è per far capire all'amico in apparenza tradito che lui continua a «volergli bene».

Doninelli guarda a Giuda con la più essenziale e difficile delle virtù cristiane, il perdono. E alla fine gli mette in bocca parole di un'umanità infinita che riconosce se stessa nella forza misteriosa della pietà e dell'amore.

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