La guerra di Musil? Un antidoto alla noia

Negli articoli della rivista "Heimat", l'autore narra l'atmosfera irreale prima del conflitto

La guerra di Musil? Un antidoto alla noia

Sette marzo 1918: Soldati è il vostro giornale! Così esorta il primo editoriale di Musil per il nuovo settimanale Heimat, voluto dallo Stato Maggiore austro-ungarico, che gli aveva affidato una funzione determinante nella redazione. Il 3 marzo si era conclusa la pace con la Russia che la rivoluzione aveva posto fuori gioco dal conflitto mondiale. Furono molti a credere che l'esito della Grande Guerra fosse ancora aperto, anzi perfino rovesciato a favore degli Imperi Centrali. L'Austria dislocò le truppe dal fronte orientale su quello italiano e per qualche tempo parve che il nostro fronte dovesse cedere, ma poi come si sa il Piave mormorò. L'illusione della vittoria (per altro diffusa: ci credette anche Thomas Mann) pervade tutti i numeri del settimanale quasi fino al numero 34, l'ultimo, del 24 ottobre.

A differenza di un precedente giornale per le truppe, la Soldaten-Zeitung, cui Musil aveva collaborato, (dirigendolo per un periodo), Heimat non appare direttamente come un organo ufficiale. Lo Stato Maggiore si era fatto furbo e voleva un settimanale «indipendente» d'opinione, certo per i militari al fronte, ma con un ampio progetto culturale teso anche al futuro dopo l'immancabile vittoria. La rivista fu pubblicata con ingenti fondi ed edizioni in tedesco, ceco, croato, ungherese. E proprio partendo dal ritrovamento di alcuni numeri in ungherese, gli editori, Massimo Libardi e Fernando Orlandi, sono riusciti, con spirito da detective, a scoprire diversi fascicoli in tedesco. Una scelta degli articoli di Musil o a lui attribuiti (con riscontro incrociato sui diari del tempo) viene ora proposta come «prima edizione mondiale», a loro cura: L'ultimo giornale dell'imperatore (traduzione di D. Zaffi, Riverdito, pagg. 254, euro 18). Il settimanale era all'interno di una operazione di propaganda finalmente più meditata con l'intento di rovesciare l'immagine negativa incollata sui soldati tedeschi dopo l'invasione del Belgio, mentre per quanto riguarda l'Austria-Ungheria occorreva insistere che la vittoria fosse possibile, anzi dopo il crollo della Russia, fosse a portata di mano e la pace più vicina che mai. Inoltre Musil contestava il pregiudizio che l'austriaco non fosse un buon soldato. Ci si impegnava anche a controbattere la propaganda irredentista: «Possiamo affermare che non erano i triestini che volevano passare all'Italia, ma è l'Italia che voleva prendersi brutalmente Trieste e il Tirolo del sud».

Ma dove incontriamo il vero Musil, quello dell'Uomo senza qualità, è quando rievoca l'«atmosfera» del '14: «C'era una terribile bonaccia sull'Europa e la si avvertiva opprimente soprattutto in Germania. La religione sparita. L'arte e la scienza, faccende esoteriche. La filosofia praticata soltanto come epistemologia. La vita familiare noiosa». E in un crescendo straordinario Musil spiega quella esplosione di entusiasmo bellico dell'agosto del '14: «L'uomo del 1914 si annoiava letteralmente a morte. Per questo la guerra è arrivata con l'ebbrezza dell'avventura, con lo splendere di misteriose coste lontane. Era la rivoluzione come termine di una evoluzione bloccata».

Conoscendo la prassi dello scrittore che riutilizzava ogni spunto giornalistico per l'immensa officina del suo romanzo monstre, si può ritenere che numerose pagine musiliane fossero rielaborazioni di testi apparsi sulla Heimat. Le stesse considerazioni, che troviamo in articoli a proposito della serenità, della leggerezza, dell'homo austriacus, definito «costante, amichevole, amante della vita, pacifico», sono preziose tracce per la psicologia di tanti personaggi del romanzo, mentre Musil torna a riaffermare che la missione storica dell'Austria è di «unire, costruire ponti fra l'est e l'ovest».

Eppure proprio su questi «ponti» c'è molto da riflettere perché Musil parla di una nazione come di una «comunità linguistica». Strana tesi per i sostenitori di un Impero asburgico sovranazionale, di una Heimat (che potremmo tradurre con Paese) che non fosse Vaterland, patria. Musil pare propenso, in diversi articoli, a sposare la concezione di una annessione alla Germania secondo le proposte, che erano state avanzate dal politico austriaco Conte Czernin, tesi analoghe, ma precedenti a quelle di Wilson, come ricorda Musil: «Perché quel che richiede Wilson non è nient'altro che quel che il Conte Czernin ha proposto in nome delle Potenze Centrali già da molto tempo come obiettivo di una giusta pace». L'editoriale era dell'11 luglio; ormai l'illusione della vittoria era uno strumento propagandistico sempre più spuntato. L'ultimo articolo musiliano, ripescato dai nostri detectives, è del 18 luglio. Chissà se si ritroveranno in una delle lingue dell'impero qualche altro fascicolo? Resta il fatto che nel 1919 Musil diventa un aperto sostenitore dell'unione con la Germania, in sintonia nota bene! - con il Partito Socialista Austriaco. L'unione avrebbe rasserenato il clima politico e sociale nei due paesi germanofoni e la presenza austriaca sarebbe stata un elemento di equilibrio.

Ma la storia non si fa con i «se». Musil aveva costruito la sua opera e la sua filosofia sulla categoria della possibilità. Poteva essere possibile un'altra storia, ma quella che si attuò fu tremenda e l'autore fu l'austriaco Hitler.

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