U n dibattito che sta diventando uno psicodramma, in Francia. Il progetto del ministro socialista dell'Educazione Vincent Peillon, introdurre corsi di «morale laica» nelle scuole, scatena tutti gli irrisolti d'Oltralpe, in tema di rapporto tra Stato e cittadino. La miccia è stata accesa da Peillon il 29 agosto, durante la conferenza di rito per la riapertura delle scuole, in cui ha sbandierato l'intenzione dall'anno prossimo di «insegnare la morale laica dalla più giovane età fino al liceo» (già evocata l'11 luglio, davanti alla Commissione affari culturali dell'Assemblea Nazionale). Ma è in un'intervista al Journal du Dimanche, uscita domenica scorsa, che ha sviscerato pienamente l'idea. E non si può dire che ci abbia girato intorno: «Io mi auguro per la scuola francese un insegnamento che inculchi -letterale, ndr- agli allievi delle nozioni di morale universale, fondata sulle idee di umanità e di ragione». Questo perché la Repubblica cova, in sé, «un'esigenza di ragione e di giustizia».
D'altronde, «se la Repubblica non dice qual è la sua visione di ciò che sono i valori e le virtù, altri lo faranno al suo posto». Per esempio, gli individui e le famiglie, ha fatto notare il suo predecessore, Luc Chatel, che su Twitter ha postato un paragone tra la trovata del collega e la concezione di scuola che aveva il maresciallo Pétain.
I contenuti specifici dell'ora di morale repubblicana, per il ministro, dovranno svariare dall'educazione sessuale alla cultura dell'immigrazione a quella dell'ambiente, e dovranno essere valutati come accade per qualunque altra materia. Solo così, si può perseguire la «costruzione del cittadino» sui banchi di scuola. L'idea è stata attaccata frontalmente da Le Figaro, giornale di riferimento per l'opinione liberalconservatrice, la cui editorialista Chantal Delsol ha ricordato che «in un Paese libero, l'educazione morale è responsabilità delle famiglie».
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