Un libro costruito su un apparente ossimoro («l'etica conviene»), soprattutto nell'era dello spread. In realtà, un libro necessario, soprattutto nell'era dello spread. È appunto Etica conviene di Roberto Spingardi (Fausto Lupetti editore, pagg. 178, euro 15). Spingardi, intellettuale e manager di alto livello, con un passato in aziende come Alitalia, Fininvest, Ferrovie dello Stato, attualmente direttore dell'area Corporate Knowledge (valorizzazione della cultura d'impresa) di Invitalia, l'Agenzia per l'attrazione degli investimenti sul suolo italico, spazza un bel po' di luoghi comuni. A cominciare dall'alternativa posticcia tra l'iperliberismo acefalo, che non scorge altri campi dell'umano oltre il profitto, e il vetero-dirigismo che è stato uno dei principali mali recenti del Paese. Si tratta di una coppia concettuale polverosa, novecentesca, dice Spingardi, adatta a quel capitalismo taylorista rappresentato come mai dopo da Charlie Chaplin in Tempi moderni. Stretto tra il culto solipsistico dell'«io» scisso da ogni relazione e la retorica politicamente corretta dell'accettazione acritica dell' «altro», il mondo odierno, il mondo sconquassato dalla finanza imbizzarrita, chiama a un senso nuovo del «noi». Della condivisione collaborativa, dello sforzo comune regolato esclusivamente dalla meritocrazia, del mercato riconciliato con la persona.
Insomma, c'è un grande bisogno di etica, secondo Spingardi, anche in senso strategico: chiunque sia interessato a reperire una qualche via d'uscita dalla crisi, s'imbatte giocoforza in questioni etiche.
Ad esempio, quella che distingue tra «mercato esterno» e «mercato interno» di un'azienda, cioè il suo microcosmo di relazioni, risorse, persone. Non c'è nessun rilancio, senza la dovuta attenzione al secondo. E da questa consapevolezza, per Spingardi, passa anche la trasformazione del ruolo degli imprenditori, che oggi «sono impegnati nei fatti a creare un mondo al quale gli altri desiderano di appartenere», sono micro-creatori di comunità. Il che, ovviamente, implica anche la totale inefficacia dei rapporti azienda-lavoratori imperniati sul rigido sindacalismo novecentesco, ormai sinonimo esplicito di conservatorismo, come mostra l'autore raccontando l'approccio che ebbe la Cgil durante una vertenza sindacale in una fabbrica di Belluno, dove per tutelare privilegi arroccati gravò ulteriormente la condizione dei nuovi assunti, dei giovani, dei precari.
Viceversa, quello a cui ci sprona Spingardi è una rivalutazione del «coraggio» (tanto che uno degli ultimi capitoli è dedicato esplicitamente al tema), dell'esplorazione di nuove vie imprenditoriali e umane, che non si vergognino più d'interrogarsi eticamente, contro il «relativismo» pigro e fatalista, concausa alimentante della crisi. L'etica conviene, davvero.
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