Ma la libertà che fa bene è soltanto quella negativa

Risposta alla provocazione di Marcello Veneziani. Il problema è lo Stato che mette troppe regole e lacci: li spaccia come "diritti", in realtà imbrigliano i cittadini

Ma la libertà che fa bene è soltanto quella negativa

Sul Giornale di domenica, Marcello Veneziani ha lanciato un provocatorio messaggio anti-libertà (leggi l'articolo).«I danni e i vizi che sta producendo hanno superato i pregi e i vantaggi», scriveva. La libertà assoluta che per alcuni (troppi) sta diventando un dogma, finisce per ottenere l’effetto opposto a quello che si prefigge. Insomma, stiamo assistendo al sorgere di una sorta di dittatura della libertà. Il tema è delicato, chiama in causa non soltanto la politica, ma anche la filosofia, oltre che il vivere comune. All’articolo di Veneziani risponde Dino Cofrancesco.

- - - - -

Marcello Veneziani ha messo piede in Regina Coeli e lì ha visto detenuti che, intendendo la libertà come arbitrio, hanno ucciso, violentato e rubato «nel nome dell'assoluta autodecisione rispetto a cose, uomini e limiti». Nell'infermeria, ha incontrato carcerati che hanno realizzato «la libertà di uccidersi, violentarsi e nuocersi nel nome stesso dell'autodecisione». Nei lunghi, tetri corridoi ha potuto toccare con mano dove porta «la libertà di rompere rapporti, legami e contratti, la libertà di diventare altro da sé, la libertà da ogni limite naturale, da ogni confine, da ogni vincolo esterno, da ogni identità e da ogni appartenenza». E sul volto dei reclusi ha letto «l'egoismo, l'egocentrismo e il narcisismo», la libertà di abbattere «chiunque ostacoli» e crei obblighi sociali, la sordità morale che non esita a sopprimere il figlio, che impedisce di essere liberi. «C'è troppa libertà in giro!», ha concluso in pieno sconforto. «La libertà assoluta non tollera neanche le leggi che pure nascono a garanzia della libertà. Ma se la libertà è sciolta da tutto e viene prima di tutto, nulla può arrestarla, se non la forza, che diventa infatti la soluzione sempre più praticata per affermare la propria libertà contro quella altrui o per arrestare gli effetti di alcune libertà invasive o aggressive. La libertà come primato assoluto e smisurato non trova argini alla prevaricazione».

Sinceramente sono perplesso giacché non riesco a vedere “con chi ce l'ha” Veneziani. Chi potrebbe difendere «la libertà assoluta», la libertà come potere di assecondare i propri impulsi passionali e di perseguire una felicità privata che non tenga in alcun conto i diritti degli altri? Il filosofo che più ha indicato le vie maestre del liberalismo, Immanuel Kant, nel suo stile accademico prussiano, ha scritto: «Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libertà possa coesistere con la libertà di ogni altro secondo una possibile legge universale (cioè non leda questo diritto degli altri)». La libertà liberale è, appunto, quella che non reca pregiudizio agli altri: qualora ciò avvenga, non si chiama più libertà ma arbitrio, violenza e sopraffazione. Per garantirla, i classici della “società aperta” hanno disposto complessi meccanismi istituzionali volti a limitare la sfera della liceità quando sono in gioco i diritti degli altri.

Montesquieu, che scriveva in un ben più limpido stile latino, fa rilevare, ne Lo Spirito delle leggi : «La democrazia e l'aristocrazia non sono Stati liberi per loro natura. La libertà politica si trova nei governi moderati. Ma essa non è sempre negli Stati moderati; non vi rimane che quando non vi è abuso del potere. È però una esperienza eterna, che ogni uomo, il quale ha in mano il potere, è portato ad abusarne, procedendo fino a quando non trova dei limiti. Chi lo direbbe! La virtù stessa ha bisogno di limiti. Perché non si possa abusare del potere, bisogna che, per la disposizione delle cose, il potere freni il potere. Una costituzione può essere tale che nessuno sia costretto a compiere le azioni alle quali la legge non lo costringe, e a non compiere quelle che la legge gli permette».

Veneziani pensa forse che i maître-à-penser del liberalismo potrebbero non condividere il principio che nessuno detiene il potere, l'arbitrio di sopprimere o di violare la vita? «La libertà non è assoluta e di conseguenza nessuno ha il diritto assoluto sulla mia vita e sulla mia morte, né io né gli altri»: Benjamin Constant o John Stuart Mill sarebbero stati in disaccordo?

In realtà, il problema del nostro tempo è un altro e lo si capisce uscendo da Regina Coeli e rientrando nel mondo dei (finora) “incensurati”. Qui, governanti e legislatori - pensando che «la libertà assoluta è un male assoluto, anzi il male assoluto è la libertà assoluta, cioè possibilità di disporre di tutto e di tutti, del mondo degli altri e di noi stessi, nel nome inviolabile della nostra suprema libertà» - hanno imprigionato i cittadini in una rete intricata e sempre più fitta di “diritti”, sicché questi ultimi che, quando sono pochi, rappresentano il sostegno più sicuro della libertà (liberale), quando si moltiplicano all'impazzata ne diventano i becchini. Non c'è ormai momento della nostra esistenza quotidiana in cui possiamo ritenerci al sicuro: se paghiamo per ricevere o svolgere qualche servizio, incombe l'ombra minacciosa del Fisco; se esprimiamo liberamente il nostro pensiero in pubblico, dobbiamo fare i conti col rispetto delle credenze altrui; se volessimo non dico rappresentare a teatro ma pubblicare il testo del dramma di Voltaire su Maometto, ci esporremmo alle rappresaglie di qualche comunità islamica e alla comprensione delle sue ragioni da parte della magistratura; se abbiamo un negozio e cerchiamo una commessa dobbiamo guardarci da un annuncio in cui si richieda una “bella presenza”; se, titolari di un'impresa, decidiamo di licenziare lo scansafatiche, dobbiamo vedercela con i sindacati. Insomma, siamo diventati dei “naufraghi della libertà” legati, come Gulliver nel paese di Lilliput, da una serie infinita di lacci e lacciuoli etichettati come “diritti”.

«Dov'è l'autorità?». No caro Veneziani: «dov'è la libertà?». Come i democratici (non liberali), come i comunisti, come i fascisti, per te, quella vera è la «libertà positiva» che s'identifica col potere che, non controllato dall'autorità, finisce per non esprimere «pensieri ma solo desideri, e alla fine ci riduce ad animali emotivi ma non pensanti»; per i liberali classici (ma non è una colpa non esserlo), quella vera è la «libertà negativa» che si estende finché non trova un ostacolo nelle libertà e nei diritti degli altri. Per un liberale, ad esempio, non è lecito fumare in uno scompartimento ferroviario giacché si attenta alla salute degli altri viaggiatori.

In realtà, nel tuo articolo, brillante e acuto come sempre, tu intendi ipotizzare un nesso tra l'aumento della criminalità diciamo così “privata” e il declino delle agenzie spirituali che un tempo provvedevano a contenere i desideri e a tener legata la bestia che è in noi. Già, ma «che c'azzecca colla libertà?».

Il superomismo di massa, che fa di ogni desiderio un diritto, è forse il punto d'approdo del liberalismo occidentale? E non potrebbe leggersi come una reazione (violenta e regressiva) alla prigione dei diritti che ormai non risparmia nessun angolo del vivere civile?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica