Non mi vergogno del silenzio né della solitudine

Dopo i funerali dei miei genitori ero sul palco a cantare. Ma questa volta non ce la farei

Non mi vergogno del silenzio né della solitudine

Basta passare un quarto d’ora a girovagare sul web per assistere a una schizofrenia terribile degli italiani nei loro stessi confronti. Da un lato siamo un popolo fantastico, che riscopre la solidarietà, che empatizza con i medici, gli operatori sanitari, che ha già individuato i suoi eroi e i suoi martiri. Flagellati dall’Europa, derisi da un mondo che non ci aiuta, sull’orlo di una crisi economica, stiamo riscoprendo la compattezza, l’empatia, la RESILIENZA (parola che ormai usiamo con raggelante disinvoltura). Siccome siamo Italiani, però, sappiamo anche sorridere, reagire, fare gruppo: eccoci tutti sui balconi, lasciatemi cantare con la chitarra in mano, ecco i selfie e i filmati su Instagram che mostrano signore attempate che percuotono pentole meglio di Tony Esposito. Resilienza e allegria. Morale: CE LA POSSIAMO FARE,

CE LA FAREMO! Poi però basta cambiare pagina e leggiamo di gente che si lamenta, qui nessuno capisce, le strade sono ancora piene, tutti vanno a correre, tutti in giro a contagiare, dagli all’untore! Chi ha un capufficio che non vuole sentire ragioni, chi deve attraversare la città per andare a pulire il culo a una vecchietta abbandonata dai figli, viene visto come un irresponsabile, un nemico della società. E poi ci sono i soliti furbi, gli idioti che si riprendono mentre fanno i piegamenti sul lungomare, le milf in cerca di un estetista... Morale: NON CE LA POSSIAMO FARE, NON CE LA FAREMO! La verità, naturalmente, sta in mezzo: siamo smarriti e poco informati, non sappiamo come muoverci, anzi, non ci muoviamo affatto, cosa molto saggia, naturalmente. Purtroppo nessuno ci ha detto come finirà, quando potremo riprenderci le nostre vite, cosa succederà dopo. Travolti da valanghe di retorica non abbiamo neanche il coraggio di far domande precise, siamo solo sommersi da dati in contrasto tra loro. Mandiamo messaggi ai contagiati per rincuorarli, certo, ma soprattutto per carpire informazioni, prima ci tranquillizziamo (è morto lo zio di Tizio, ma aveva 84 anni...), poi ci lasciamo prendere dal panico (Caio è in ospedale, ha 5 anni meno di me...). Interessante è in questo momento il comportamento dei cosiddetti VIP. Ovviamente trovo ammirevoli tutte le iniziative benefiche, ringrazio come italiano chi ha fatto donazioni personali e aggiungo che in questo caso è stato anche giusto renderle note, perché l’esternazione ha scatenato una proficua gara di solidarietà. Ottime anche le tante raccolte fondi (noi della Nazionale Cantanti abbiamo attivato un numero solidale, 45527, per incrementare i posti letto all’ospedale milanese di Niguarda), un plauso e un ringraziamento a tutti quelli che hanno donato. Oltre a tutte queste encomiabili iniziative, ce n’è un’altra sulla quale spenderei due parole: molti cantanti, orfani dei tanti tour che stavano partendo e che sono stati cancellati (compreso il mio) si sono attivati e si esibiscono via social, per donare momenti di serenità. Li ammiro per vari motivi. Intanto perché si sono attrezzati per tempo allestendo piccoli o medi studi di registrazione a casa. Io invece, poco lungimirante, ho sì un mio studio di registrazione, che è uno dei più belli d’Italia, ma non so neanche accendere le macchine, ho bisogno di un tecnico audio e i tecnici, giustamente, stanno a casa loro. Ma li ammiro anche e soprattutto per la loro voglia di divertire gli altri. Ci sono sempre riuscito nella vita, le due sere dei funerali dei miei genitori ero sul palco a suonare, ma forse l’ho fatto più per istinto di sopravvivenza che non per amore verso il pubblico. Questa volta però c’è un altro motivo che giustifica la mia assenza da questa kermesse virtuale: non ho troppa voglia di scherzare, di ridere e quindi di cantare, per di più da solo. Per me un concerto è un momento di comunione collettiva, io sotto alla doccia non ho mai cantato, mi piace farlo guardando negli occhi quelli che hanno avuto la bontà di riempire un teatro per me.

Devo essere sincero, ho più bisogno di sentire frasi consolatorie dagli altri che non di essere per forza positivo e divertente. Non giudicatemi male, se potete. Non voglio “tirarmela”, anzi: sono qui a mostrare le mie debolezze e il mio sconforto. Sperando di ritrovare tutti (meglio, tutti quelli che vorranno) sotto al palco prima possibile.

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