Otto marzo, niente mimose per queste donne

Troppo controcorrente per festeggiare: in tre romanzi di Bernhard, Gustafsson e Soseki, la Vita, la Morte e l’Amore. Ovvero tutto l’universo femminile

Otto marzo, niente mimose  per queste donne

Tre donne. Non quelle sedotte e abbandonate dalla penna avvelenata di Robert Musil, cioè Grigia, La portoghese e Tonka, né quelle annegate nell’inchiostro gotico di Edgar Allan Poe, Berenice, Morella e Ligeia. Le triadi dell’uno e dell’altro offrono immagini di donne deformate, grottesche, estreme. Invece «la persiana», «la signora Sorgedahl» e «Michiyo» potresti incontrarle sul tram o al mercato o in ufficio, la prima con il fardello delle occhiaie, testimonianza di un’esistenza prosciugata, la seconda con la sua prorompente carica erotica, la terza ostaggio della fragilità emotiva. Normali ed eccezionali. Talmente normali ed eccezionali che stonerebbero, oggi, nella massa omologata, con in mano il mazzolino di mimosa d’ordinanza, a fingere, come ogni anno, di celebrare la Festa della Donna...
«La persiana» di Sì ce la presenta Thomas Bernhard (Guanda, pagg. 141, euro 12,50, trad. Claudio Groff). Cinquantacinque anni, persiana appunto, ma cresciuta tra l’Inghilterra e Parigi e legata a filo doppio a un grigissimo ingegnere, la signora non è bella, ma possiede il torbido fascino della decadenza. Almeno agli occhi del Narratore, giovane studioso di scienze naturali trasferitosi in un isolato villaggio austriaco e intento a cullare la propria depressione. L’ingegnere vuole trasferirsi nei paraggi perché stanco di fare su e giù per il mondo, e alla povera compagna non resta che adeguarsi. È Moritz, l’amico immobiliarista del ragazzo, a proporre alla coppia un anonimo spigolo di bosco dove far sorgere il loro ultimo nido (di vipere). Signora, verrebbe con me a fare una passeggiata? propone il ragazzo. Così due miserie in un corpo solo, direbbe Giorgio Gaber, si aggrappano ai fili d’erba dei rispettivi precipizi, ma soltanto una, alla fine, si salverà. Per modo di dire...
Le bianche braccia della signora Sorgedahl (Iperborea, pagg. 234, euro 15,50, trad. Carmen Giorgetti Cima) accolgono invece l’itinerante memoria dello svedese Lars Gustafsson il quale, dal college americano dove vive da semipensionato, lo riconduce alla giovinezza, fra corse in bicicletta nella neve, battute di pesca al luccio e personaggi leggendari narrati, ormai pare un secolo fa, dalla madre. Se in Sì Bernhard usa «la persiana» come dispositivo moltiplicatore del suo abituale cupio dissolvi, qui il professor Gustafsson tiene una lezione di proustiana Recherche in cui le braccia, il profumo, i capelli, il tepore della signora sono madeleines carnali. Se là la Donna è la morte, qui è la vita, una madre che genera tanti figli quanti sono i ricordi. Ingela, la prima fidanzatina dell’autore, gli occhiuti professori del liceo, le letture appassionate dei filosofi... Tutto ruota intorno all’amplesso cosmico con una dea occasionale ma generosa, a quella sorta di scena primaria che, riemersa dalla mente del vecchio cattedratico che ha tirato i remi in barca, lo induce a prendere nuovamente il mare. «A volte - medita Gustafsson - mi spaventa l’incredibile facilità che ho di piantare in asso tutto, di separarmi da persone e legami. Dire addio senza provare né nostalgia né gioia. Chi è capace di dire addio non può mai realmente annoiarsi». Vale anche per la Donna?
Non saprebbe rispondere Daisuke, il protagonista di E poi, di Natsume Soseki (Neri Pozza, pagg. 288, euro 16,50, trad. Antonietta Pastore, prima edizione italiana). Sui trent’anni come il naturalista di Sì e come questi già stanco di una vita da nullafacente, nel suo caso oltretutto condotta a rimorchio del fratello maggiore e del padre, ricchi imprenditori, questo Andrea Sperelli con gli occhi a mandorla, ammiratore (appunto) di d’Annunzio e dei francesi che intingono la loro ennui nell’assenzio, non si decide a prender moglie nonostante le insistenze della famiglia e ciondola, nel Giappone di inizio Novecento in bilico fra la propria tradizione e la modernità importata dall’Occidente, da una casa da tè a una corsa senza meta in tram, da una bevuta con gli amici a qualche buona lettura. Ma ecco Michiyo. La moglie del suo compagno d’università Hiraoka non è la morte, come «la persiana», ma non è nemmeno la vita, come «la signora Sorgedahl».

Forse è quella cosa strana che sta fra la vita e la morte, fra un caldo abbraccio e un gelido abisso. Quella cosa che anche nella Festa della Donna fa appassire le mimose e che si chiama Amore. Perché di solito, dopo E poi, ci stanno bene i puntini di sospensione...

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