Se non siete delle belle persone, l'inizio di Chi manda le onde vi respingerà, un po' come fa il mare coi surfisti inesperti: la prima difficoltà è arrivare abbastanza lontano da poter prendere le onde (rimanere in piedi sulla tavola, o almeno in ginocchio, è tutta un'altra faccenda). Il nuovo romanzo di Fabio Genovesi, uscito il 3 febbraio per Mondadori (pagg. 396, euro 19), all'inizio vi ricorderà Il Piccolo Principe , spartiacque letterario nettissimo: le anime candide si sciolgono al pensiero del Principe che addomestica la volpe, i cinici vorrebbero che la volpe lo sbranasse.
Così, l'inizio, con la tragica scoperta dell'inesistenza di Babbo Natale (pubblico ludibrio in classe) da parte della protagonista, Luna - ragazzina albina sensibile come lo sono i suoi occhi alla luce accecante del sole della Versilia, un posto dove i ragazzi si drogano, gli uomini adulti giocano al videopoker o, «se vogliono risparmiare», vanno a trans, e le donne inventano maldicenze - mi ha inizialmente respinto.
E invece.
E invece poi lo stile di Genovesi, un flusso di implacabile tenerezza che ricorda la risacca del mare quando è calmo, senza privarsi delle furibonde e improvvise accelerazioni quando è in tempesta, fa sì che le onde della scrittura - vere protagoniste della storia, fin dal titolo - prevalgano.
Già a pagina 18 il mio cinismo si è incrinato, di fronte al racconto dei giochi nel cortile della scuola di Luna, quando le suore impongono «l'allegro esploratore», un tunnel costituito da ruote di camion dismesse in cui i bambini sono obbligati a entrare che mi ricorda i giochi dell'infanzia, vissuti in maniera diametralmente opposta alla spaventatissima Luna. Da lì in poi si surfa a meraviglia con Sandro, professore precario innamorato della mamma di Luna, Serena, che legherà con un solo studente, Luca, fratello di Luna, e che del resto della classe sa poco e niente («ci sono un paio di soggetti che non saprebbe nemmeno dire se sono italiani, e un altro che non ha capito se è maschio o femmina. Figuriamoci se si ricorda i nomi»). Impossibile non immedesimarsi quando spiega la sua vita partendo dal disordine della sua «cameretta»: «Vabbè, li sistemo domani. Solo che quel domani è diventato dopodomani, e poi dopodomani, e i dischi da sistemare sono saliti a tre, a cinquanta, a cento... in attesa del giorno giusto per rimettere tutto in ordine. Il problema è che il giorno giusto non viene mai». Sandro avrà un ruolo fondamentale nello spingere Luca a «uno di quei viaggi che sei felice perché ti sembra che da quel momento si apra davanti a te la vita vera, che è appena un passo in là e ti aspetta in tutto il suo splendore. Poi però il tempo passa e ti rendi conto che la vita non ti stava davanti, la vita era proprio quella lì».
Chi manda le onde è un libro che fa rivivere i rumori delle aule scolastiche, le ansie, le gioie, e il formicolio di nostalgia per un tempo irripetibile, dando voce anche a una sorta di scontro generazionale (con i pensionati che hanno vissuto «un'epoca che i soldi se li tiravano addosso per scherzo al posto dei coriandoli» e adesso «girano tra quelli più giovani come gli occidentali in vacanza nel Terzo Mondo»).
L'apparente semplicità della scrittura di Genovesi è il suo punto di forza, e il lettore ritrova se stesso nel racconto, come i personaggi che a furia di perdersi finiranno col ritrovarsi: «Tanta gente pensa che perdersi sia un discorso tipo bianco o nero, acceso o spento: o sai dove sei oppure no. Invece nel perdersi ci sono mille gradazioni, tutti ci perdiamo sempre un po', ma se non lo capisci e continui a girare a caso rischi di perderti troppo e finisci tutto solo nella notte buia, e intorno non vedi niente e senti solo un rumore leggero, le bocche dei lupi che sbavano mentre vengono da te».
È un mondo fiabesco fatto apposta per farvi abbassare la guardia, e poi, sbam, arriva pagina 99, e a Genovesi basteranno due parole, «e invece», per disarmare definitivamente il cinico che è in voi. È un libro che fa piangere, anche nell'elaborazione del lutto che passa per le stucchevoli banalità degli epitaffi su Facebook, e un libro che fa ridere, tra colloqui con i professori, discutibili tecniche di seduzione da discoteca e ausiliari del traffico che anziché indossare giubbotti catarifrangenti dovrebbero indossare mimetiche tute da ninja, visto che rischiano più le botte dei multati che di essere investiti.
E, soprattutto, è un libro di mestiere, oltre che di talento, in cui torna tutto, in cui le vite dei personaggi si intrecciano,
diventando corali, in quasi quattrocento pagine. Protagonista: Luna, un Piccolo Principe nato a Forte dei Marmi in inverno. Dove «non c'è nessuno e se vuoi che succeda qualcosa te la puoi solo inventare».Twitter @cubamsc
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