
C'era da sospettarlo, e infatti... Anche l'Italia ha avuto il suo Tom Wolfe, Gay Talese, Hunter S. Thompson. Vale a dire un cronista capace di raccontare i fatti di costume con le armi stilistiche della narrativa. Oggi, pomposamente, questo genere è definito non-fiction, all'epoca, gli anni Sessanta, era «solo» (nuovo) giornalismo.
Il nostro Tom Wolfe si chiamava Oriana Fallaci come dimostra Viaggio in America (Rizzoli, pagg. 306, euro 19), raccolta dei reportage dagli Usa pubblicati sull'Europeo tra il 1965 e il 1967. Nulla di inedito ma la possibilità di leggere questi articoli uno di fila all'altro cambia, anche piuttosto radicalmente, il profilo della Oriana pre-Vietnam. Tanto americana quanto italiana, nonostante lo splendido italiano in cui scriveva. Perfino le fonti d'ispirazione sono spesso a stelle e strisce: inequivocabile il richiamo, a esempio, a certi racconti di John Cheever. La Fallaci descrive le «stranezze» degli Usa comprandosi una pistola per corrispondenza. Ritrae dal vivo l'intero star system hollywoodiano: Frank Sinatra, Warren Beatty, Liza Minnelli, Liz Taylor, Richard Burton, Roger Vadim, Jane Fonda... Fotografa una specie in rapida mutazione, i teenager, con un occhio clinico davvero alla Tom Wolfe: siamo un minuto prima della rivoluzione sessuale, dell'esplosione dei movimenti studenteschi, dell'avvento dei «capelloni». Scrive uno spassoso reportage on the road, cronaca di un viaggio attraverso la provincia americana in compagnia della amica Shirley McLaine: non sarebbe dispiaciuto a Hunter S. Thompson. Il tono è leggero, divertito. La Fallaci si mette sempre in scena, entra come personaggio, talvolta come protagonista, nelle vicende narrate.
L'ultimo articolo è del giugno 1967.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.