Di solito i critici letterari hanno utili intuizioni. Recentemente, ad esempio, Filippo La Porta, dal Corriere della Sera, si è messo a sbraitare contro letichetta, pubblicitariamente doc, «giovane scrittore». Giusto. Ma poi La Porta stesso ci dice lopposto: gli scrittori hanno scritto i loro capolavori da giovani. Prendi Thomas Mann, Flaubert, Moravia. Mah, lunica verità è che o sei scrittore o non lo sei, o sei scrittore o sei scrivano. Così, mentre leggo la stupefacente scheda che accompagna il libro di Alessandro Rivali, La caduta di Bisanzio (Jaca Book, pagg. 134, euro 14), alla frase «è il più importante poeta dellultima generazione» (ma perché bisogna sempre esagerare con i superlativi?), ma soprattutto mentre sbatto il muso sul martello dei «poeti trentenni» e sullincudine della «poesia giovane italiana», mi viene da urlare e ritirarmi in cima allEverest. Se hanno pubblicato Rivali nella sontuosa collana I poeti, che conta firme come Yves Bonnefoy e Charles Wright, Alessandro Ceni e Piero Bigongiari è perché Rivali è poeta come costoro, senza parentesi o anticoncezionali illeciti di mezzo.
Il problema è atavico: i «poeti laureati», cioè quelli che maneggiano leditoria italica (i Roberto Mussapi, i Maurizio Cucchi, gli Antonio Riccardi, tanto per citarne qualcuno) gestiscono e proteggono il loro giardinetto lirico. E di solito applicano letichetta «giovane» per sminuire. Hanno anche ragione: i poeti «trentenni» (qualche anno fa erano «ventenni», tra un po saranno «giovani poeti quarantenni»?) non hanno padri, padroni o padrini, né venerati maestri da intortare (un tempo i poeti laureati di oggi andavano a lezione da Mario Luzi, da Caproni, da Montale e da Bertolucci, beati loro). Questi poeti sono liberi come il vento. Costoro, silenziosamente, stanno penetrando nelle antologie scolastiche (nel volume «satellite» Poesia italiana contemporanea e tradizione del Novecento, a cura di Daniele Piccini, allegato alla mitologica antologia del Principato pensata da Hermann Grosser), pubblicano i primi libri di assoluto rilievo (questo è un «anno mirabile», che coincide con le raccolte mature di Federico Italiano, Francesca Serragnoli, Maria Grazia Calandrone e Simone Cattaneo).
Un poeta è grande quando in ogni verso rischia di non essere più un poeta. La poesia non è una «professione», ma una sfida - posso perdere tutto da un verso allaltro. Detto questo, Alessandro Rivali è un poeta raggiunto, compiuto e completo. Ho seguito La caduta di Bisanzio nella sua germinazione e nella sua clamorosa proliferazione: è un immane poema per poesie, dove il disastro di Pompei e la presa di Bisanzio collimano con il bombardamento su Dresda e il delirio della Kolyma. Il tutto saldato coi carboni ardenti: il simbolo del fuoco dà senso allaccumulo di morti e falciati, è il fuoco di Eraclito e di Giovanni della Croce, quello della fine e quello della salvezza. Il libro, drammatico e insolito (lItalia è terra di poeti «civili», che come Pasolini mescolano la terzina dantesca allagenzia Ansa, o che simbarbariscono imbevuti davanguardia da modernariato, ma non di poeti alti, totali, storici), è stato recensito un po ovunque, un po ovunque si è fatto il nome tutelare di Ezra Pound. In realtà, la stoffa di Rivali proviene - come scatto lirico e dimensione mitica - dal Giuseppe Ungaretti del Sentimento del Tempo e della Terra Promessa. Anche nella prospettiva ultima «dun sogno dinnocenza. Di innocenza preadamitica, quella delluniverso prima delluomo.
Di una generazione precedente, Pierluigi Cappello, già autore di un libro complessivo ed epocale, Assetto di volo (Crocetti, 2006), ha appena pubblicato, sempre con Crocetti, Mandate a dire allimperatore (pagg. 88, euro 13). Primo punto: questi sono poeti colti, che si sono coltivati una propria tradizione letteraria. Rivali oscilla tra Tacito e le cronache medioevali, tra T.S. Eliot e Borges (nelle poesie più fragili il rischio è quello di imitare, piuttosto, Franco Battiato, o ricreare atmosfere da film hollywoodiano di costume); Cappello predilige Vittorio Sereni e Umberto Saba, conosce i poemi cavallereschi, aderisce allumanità disumana di Saint-Exupéry. Li unisce il tentativo - la tentazione - del poema. Cappello, in un libro umilmente eroico (quanto è bella la postfazione di Eraldo Affinati in proposito), descrive una favolosa e favolistica catabasi in La strada della sete, mimando Dante - ma un Dante ricreato da un montanaro, in cima al rifugio, martirizzato dal gelo - costellando il poema di frasi sapienziali, eccellenti («il dolore fu staccarsi dal dolore»).
Cè chi si ostina a parlare della fine della poesia, lItalia è gonfia di poeti che si ostinano a narrare la fine, dando inizio a qualcosa di nuovo. Tra poco bisognerà riscrivere le antologie - o abolirle per sempre - ma soprattutto qualcuno dovrà mettere in ordine lo scaffale poetico contemporaneo. Defenestrando i paludati poeti laureati.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.