“Penso di poter affermare tranquillamente che nessuno capisce la meccanica quantistica”. Chiosava così Richard Feynman durante una lezione alla Cornell University, nella pittoresca Ithaca, cittadina appollaiata su di una roccia affacciata nella punta meridionale di uno dei Finger Lakes nello stato di New York. E lo diceva nel 1964. Da allora la situazione, ad esser sinceri, non è migliorata moltissimo. Ma che cosa intendeva veramente il grande fisico che è tra i padri della meccanica quantistica stessa?
A rileggere l’articolo che vi abbiamo proposto due settimane fa la situazione non sembrerebbe così oscura. Bisogna “solo” fare lo sforzo (immane) di dimenticare le nostre convinzioni che il mondo sia deterministico e che le leggi della fisica riescano a descriverlo in quanto tale: a livello microscopico, di particelle elementari e atomi, esistono solo probabilità. Le particelle non sono palline con proprietà localizzate nel tempo e nello spazio, ma sono onde di probabilità. Fotoni, elettroni, protoni, eccetera hanno una probabilità X di essere sul tavolo della cucina ora, una probabilità Y di essere in bagno, una probabilità Z di essere in camera da letto e via dicendo, così come una probabilità W di avere una velocità e una probabilità K di averne un’altra e così via. E al passare del tempo queste probabilità cambiano, evolvendo secondo un’equazione simile a quella che descrive il moto delle onde. Questo è il cuore della meccanica quantistica.
(Al minuto 8.00 Feynman pronuncia la frase citata all'inizio dell'articolo)
Certo è strana e sicuramente difficile da accettare perché lontana dalla nostra intuizione, ma non incomprensibile come affermato da Feynman. Tanto è che la meccanica quantistica, con tutte le sue “stranezze”, è alla base di diverse tecnologie sviluppate nel ventesimo secolo come la risonanza magnetica. Il processore di silicio all’interno del dispositivo che ora vi consente di leggere questo articolo, che esso sia un computer, un tablet o uno smartphone, basa il suo funzionamento nel famoso “effetto tunnel quantistico”. In soldoni, l’effetto tunnel è quell’effetto quantistico per cui un elettrone, o una qualsiasi particella microscopica, può attraversare un muro. Più precisamente, visto che non c’è nessun muro da attraversare nel chip del vostro computer, le particelle elementari possono attraversare qualsiasi barriera di potenziale pur non avendone l’energia necessaria classicamente. Ragionando in termini di probabilità, quella che sembra un’incomprensibile stranezza non è poi così tale. L’elettrone ha una certa probabilità di essere di qua dal muro, così come una d'esser di là. Anche se all’inizio la probabilità di trovarsi dall’altra parte del muro è praticamente zero, visto che abbiamo creato l’elettrone grazie a qualche strumento posto di qua dal muro, l’onda di probabilità che descrive la particella (in gergo la funzione d’onda) evolve cambiando nel tempo. Dopo un po’ la probabilità di trovarsi di là dal muro può essere cresciuta tanto da diventare molto probabile che un rivelatore di elettroni ne misuri effettivamente la presenza. E così l’elettrone avrà attraversato il muro!
Attenzione: la probabilità non deve essere 100% affinché l’elettrone venga rivelato. Può essere molto più bassa. Ma che succede quando l’elettrone è rivelato? A quel punto siamo certi al 100% che esso è lì, nel nostro strumento di misura. La probabilità che sia da altre parti diventa istantaneamente zero. In termini tecnici, la funzione d’onda collassa istantaneamente nel punto in cui l’elettrone si è manifestato. Non solo, è possibile fare esperimenti in cui il collasso della funzione d’onda è manifesto anche quando proviamo ad osservare un elettrone, ma non lo vediamo. Ma perché mai alla funzione d’onda, che dovrebbe essere l’entità fondamentale del mondo microscopico, dovrebbe interessare quello che fa un fisico in camice bianco nel suo laboratorio? Cosa mai dovrebbe interessargli se qualcuno sta cercando o meno di osservare la presenza dell’elettrone? Questo è il vero puzzle irrisolto al quale si riferiva Feynman. La meccanica quantistica funziona benissimo, sappiamo farci calcoli complessi e sappiamo costruirci strumenti tecnologici impensabili un secolo fa. Ma la sua interpretazione più profonda è ancora sfuggente.
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Fino ad ora abbiamo presentato la bellezza della meccanica quantistica e la rivoluzione concettuale che ha introdotto concentrandoci sulla funzione d’onda, sulle onde di probabilità. Questo è il modo in cui viene solitamente presentata (anche nei corsi universitari) perché quello più semplice da spiegare e da far intuire, quello che spiazza di meno. Abbiamo infatti un oggetto, la funzione d’onda, che sì è solo sinonimo di probabilità ed aleatorietà, ma è qualcosa che quantomeno possiamo immaginare (un’onda), rappresentare, disegnare e della quale possiamo prevedere l’evoluzione risolvendo un’equazione (anche se non proprio semplicissima da risolvere). Ma esiste un altro modo di scrivere matematicamente la stessa identica teoria. Come un saggio scritto in due dialetti diversi (il significato è lo stesso, ma la sintassi e le parole usate completamente diverse), la meccanica quantistica nasce scritta in un dialetto matematico diverso: è la fisica delle matrici proposta dal 23enne Werner Heisenberg, dove non c’è ombra della funzione d’onda, dove tutto è descritto in termini di probabilità di transizione da uno stato ad un altro. È un insieme di numeri disposti a rettangoli che quasi magicamente ci dicono con incredibile precisione quale è la probabilità che un elettrone di qua dal muro sia rivelato di là dal muro. La risposta delle due versioni della teoria è identica, ma nella versione di Heisenberg è ancora più complesso trovare qualcosa da “seguire”, da disegnare, al quale quasi affezionarsi.
La funzione d’onda, quindi, non è l’oggetto fondamentale? È forse solo uno strumento matematico? Cos’è l’elettrone? Cosa sono le particelle fondamentali che osserviamo con i nostri strumenti? Che ruolo ha l’osservatore, che ruolo abbiamo noi nel pazzo mondo microscopico?
Sono solo parte delle domande alle quali Feynman e colleghi non avevano una risposta nel 1964 e che ancora oggi occupano la mente di fisici e filosofi.
“Ogni volta che pubblicate un tweet con una foto del vostro gatto state invocando le leggi più fondamentali dell’Universo” disse scherzosamente durante un bel TedX talk il fisico e scrittore Dominic Walliman. Avrebbe potuto aggiungere “le quali nessuno veramente capisce”.Vuoi che un articolo tratti un tema che ti interessa? Scrivi a spaziocurvo@ilgiornale-web.it
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