Da Pynchon a Franzen, gli autori Usa contro il web

P ostmoderni o neo-tradizionalisti, sperimentali chi più chi meno, ma tutti o quasi con l'ossessione della tecnologia «cattiva»: tutti preda della sindrome di Matrix. Gli scrittori, in particolare anglosassoni, contemporanei, corteggiano sempre più il virtuale, internet, come luogo oscuro.
L'enigmatico, inafferrabile Thomas Pynchon, ad esempio, arriva in libreria negli Usa con il thriller ipertecnologico Bleeding Edge. Trama labirintica tra teorie della cospirazione sull'11 settembre (la vicenda raccontata inizia nella primavera 2001) e citazioni pop, da Gargamella ai Pokemon, in una struttura narrativa ansiogena e minacciosa. Al centro di tutto, internet usato come strumento di controllo e manipolazione delle coscienze.
Discorso simile per Dave Eggers. L'autore di L'opera struggente di un formidabile genio approda nelle librerie Usa con un nuovo romanzo, The Circle. Soggetto: una company che si occupa di incrociare i dati dei suoi utenti in vista di una nuova era di trasparenza. O di controllo? Molti, in questo libro che «apre interrogativi sulla memoria, la storia, la privacy, la democrazia e i limiti della conoscenza umana» hanno visto riferimenti espliciti a Google, ed è inutile dire che la polemica incombe.
Non può mancare il maestro della narrativa cyberpunk (nonché inventore della parola cyberspazio), cioè William Gibson. A quanto pare il suo prossimo romanzo, dal titolo The Peripheral, di cui l'autore ha letto in varie occasioni i capitoli iniziali, ruoterà attorno al tema realtà virtuale e ai suoi paradossi etici.
In tema di internet come luogo del male, non può mancare il freschissimo contributo di Jonathan Franzen. L'autore delle Correzioni era già noto per la sua avversione a Twitter: un paio d'anni fa le sue uscite contro il social network provocarono la tempresta perfetta di polemiche in rete. Adesso, in un lungo articolo sul Guardian, Franzen se la prende con Amazon.

Il colosso editoriale di Jeff Bezos rappresenterebbe, secondo Franzen «uno dei quattro cavalieri dell'Apocalisse» perché, favorendo autori che si autopubblicano e si autopromuovono sui social network, tenderebbe a favorire autori «chiacchieroni, vanitosi e tweeter». Insomma, gli scrittori sembrano, sempre più non poter fare a meno di un unico oggetto di desiderio, di riprovazione, d'orrore. La rete, appunto.

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