Quando fare debiti diventa un'arte La provocazione (ottocentesca) di Jacques-Gilbert Ymbert

Il debito. Pare essere il grande flagello del XXI secolo. Affligge i governi, come quello italiano e greco. Affossa i privati e le banche: basti pensare a cosa è capitato negli Usa con i mutui subprime... Eppure quasi tutto nell'economia contemporanea vive sopra i consumi, sul fatto che il denaro circoli, sul fatto che qualcuno presti e qualcun'altro riceva e, magari, restituisca. Una meccanica complessa sulla quale spesso si rompono il cranio anche i migliori economisti. Però è certo che il consumatore, sia pubblico che privato, con i suoi «pagherò», con la sua fiducia, è, e a quanto pare sarà, il vero motore del sistema economico.
Che questo fosse un trend inevitabile l'aveva intuito nel primo Ottocento Jacques-Gilbert Ymbert che, con spirito provocatorio e burlesco, propose agli stupiti lettori francesi il suo L'arte di far debiti. Il piccolo pamphlet ritorna ora in libreria dopo quasi un ventennio (Barion, pagg. 110, euro 7,90). Il tono di Ymbert (1786-1846) che fu alto funzionario nella Francia post napoleonica ma anche autore letterario corrosivo, è scanzonato e divertente. Spiega come un Paese non possa più vivere senza chi «Annoda impeccabilmente la sua cravatta, e incoraggia così la lavorazione e lo smercio delle nostre sete... crea la moda degli uccelletti alla provenzale... li mangia con grazia contagiosa. Ecco tutta una provincia arricchita da una sola colazione dell'uomo comme il faut». Un uomo indebitato sino al collo che però produce mode, consumi...
Una provocazione? Certo.

Però come spiega, nella postfazione l'economista Pierangelo Dacrema, è difficile contestare la visione di Ymbert «in un'epoca come la nostra in cui vendere un'automobile è molto più difficile che fabbricarla... in cui il nostro sistema strumentalizza la capacità di certe istituzioni di indebitarsi in modo sistematico». Nella provocazione c'è del vero e dell'irrisolto.

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