Quel "Gallo" rosso re di un pollaio pieno di compagne

Nelle memorie del figlio di Luigi, il successore di Togliatti, i tradimenti in serie inflitti alla moglie dal leader del Pci. Che razzolava nel Partito...

Luigi Longo durante un comizio al teatro Carignano di Torino nel 1950
Luigi Longo durante un comizio al teatro Carignano di Torino nel 1950

Gino Longo, figlio di Luigi, successore di Togliatti alla guida del Pci, somiglia fisicamente alla madre Teresa Noce. La quale era una donna energica e onesta. Non ammetteva compromessi, non tollerava incoerenze e doppiezze: era, insomma, quel che si dice una coscienza critica, proprio per questo scomoda. Soprattutto per Luigi Longo il quale, a un certo punto, la volle ripudiare. Persona rispettabile, Teresa. Un po' meno suo marito il quale, in fatto di conquiste femminili, si comportò da buon sultano del partitone rosso. Il suo nome di battaglia, «Gallo», coniato sulle trincee della guerra civile spagnola e poi rilanciato durante la Resistenza, qualcosa deve pur raccontare. Secondo il figlio Gino, «Gallo» sarebbe stato mutuato dal Galletto rosso, periodico giovanile satirico e antimilitarista, una sua creatura. La verità è però un'altra: Longo fu ribattezzato «Gallo» per via della sua fama di dongiovanni che si meritò fin dalla gioventù.

Le prodezze amatorie di papà Longo ci vengono raccontate dal figlio stesso, nelle sue memorie. Il leader comunista reclutava le sue conquiste sentimentali tra le vecchie conoscenze della moglie. O forse sarebbe meglio dire che le raccoglieva in quell'ambiente comunista torinese dove, insieme a Teresa Noce, si era fatto le ossa politicamente. A esempio Felicita Ferrero: bruna, piccolina, carina, ma tormentata dalle vicende di cuore. Durante la guerra civile spagnola il comandante «Gallo», ispettore generale delle Brigate Internazionali, ebbe una liaison con la sua segretaria iberica, Adele: magra, bruttina, ma piena di dedizione. Durante la Resistenza non è dato sapere quante femmine siano state iscritte nel suo registro sentimentale. Gino però scrive che sua madre, nei mesi successivi alla Liberazione, a Milano, era alquanto infastidita dalla piccola corte di fans che ronzavano attorno a Luigi. Tre, in particolare, le compagne che, secondo Teresa, erano state con Longo padre: Gisella Floreanini, Giovanna Barcellona e Maria Maddalena Rossi.

Gisella Floreanini, classe 1906, musicista, iscritta al Pci dal '41, dirigente delle brigate partigiane garibaldine della Valsesia, era stata membro della giunta della Repubblica dell'Ossola; medaglia d'oro della Resistenza, fu consigliera comunale a Milano e deputato dal '48 al '58. Fonti di polizia la indicarono, nel '52, come referente degli apparati paramilitari clandestini del Pci in Piemonte. Quanto a Giovanna Boccalini Barcellona, nata a Lodi nel 1901, maestra elementare, aveva sposato un perseguitato politico che seguì al confino. Durante la Resistenza fu tra le fondatrici del giornale clandestino Noi donne. Dopo la Liberazione fu assessore all'Assistenza del Comune di Milano. Fu anche vicepresidente dell'Inps e membro del Comitato centrale del Pci. Infine, Maria Maddalena Rossi. Nata nel 1906, laureata in chimica, aderì al Pci nel '37 e durante la Resistenza fece parte della redazione clandestina dell'Unità. Eletta alla Costituente nel '46, fu parlamentare fino al '63. Nel '70 divenne sindaco di Portovenere.

Stanca delle avventure amorose del marito, Teresa Noce alla fine del '48 o al principio del '49 decise di separarsi. Lasciò la casa romana e si trasferì a Milano, con il pretesto di doversi occupare più da vicino della Fiot, il sindacato comunista delle operaie tessili di cui era segretaria. Teresa, la mitica «Estella», al principio degli anni Venti aveva sfidato il disprezzo della famiglia borghese di Longo che l'aveva bollata come «brutta, povera e comunista». E ora si sentiva scaricata. Nelle sue memorie, la Noce scrive di aver saputo, fin da quando era stata rinchiusa nei lager tedeschi, che lui aveva iniziato a convivere more uxorio con un'altra loro antica compagna di battaglie: Caterina Piccolato. Ma poi aveva mollato anche quella, per unirsi a una compagna più giovane, l'ex partigiana Bruna Conti, che aveva diretto la Resistenza nelle Alpi Apuane. Da Bruna, Longo avrà un figlio.

Nell'ottobre del '53, di ritorno da un congresso sindacale in Austria, «Estella» lesse sul Corriere della Sera una notizia che le gelò il sangue: lei e Longo avevano ottenuto il divorzio a San Marino. Era un colpo basso: di quella storia non sapeva nulla, quindi non poteva aver acconsentito al provvedimento di legale cancellazione del matrimonio. Si scoprì poi che Longo aveva fatto «carte false» per ottenere il divorzio. La definitiva rottura ebbe conseguenze deleterie nei rapporti con i figli, come racconta nel suo diario Gino Longo: «Nell'inverno del 1953 mia madre ruppe con me i rapporti: saremmo rimasti quattro anni senza scriverci né vederci. Andò così: ai primi di novembre ricevetti da lei una lettera di più pagine; in essa mi diceva di aver appreso dai giornali che mio padre a San Marino aveva ottenuto l'annullamento del loro matrimonio. Questo proprio non lo poteva tollerare; aveva quindi spedito al Corriere della Sera una lettera di protesta lunga e piuttosto confusa, di cui allegava copia. E come fosse cosa del tutto naturale esigeva che facessi lo stesso anch'io, prendendo pubblicamente posizione contro l'avvenuto annullamento del matrimonio, ed il successivo risposarsi, di mio padre! Rifiutai nel modo più reciso: le scrissi una lettera forse ancor più lunga della sua, nella quale, in termini pacati ma fermi, tentavo di spiegarle che non avevo nessuna intenzione di immischiarmi della vita privata di mio padre, e tanto meno di prendere le parti di lei. Per due ragioni: sarebbe stata un'inammissibile interferenza, e poi perché non ero affatto d'accordo con mia madre. Lei l'aveva lasciato, mio padre, da più di quattro anni, se n'era andata via e trasferita a Milano; a mio padre serviva qualcuno che si occupasse di lui, e aveva pieno diritto di organizzarsi come meglio credeva, di rifarsi, come si suol dire, una vita. S'era messo con la Bruna, era nato un figlio; perché stupirsi se ora tentava di regolarizzare in qualche modo la situazione?».

Quel divorzio ebbe conseguenze dolorose per Teresa Noce che aveva sfidato i sepolcri imbiancati del suo partito con un atto clamoroso: rivolgersi alla Commissione centrale di controllo del Pci per denunciare il metodo usato da Longo per liquidarla.

Ma fu esclusa dalla direzione del partito ed emarginata dal gruppo dirigente comunista che la costrinse di fatto ad abbandonare la vita pubblica, nel '54. Nelle sue memorie descrisse la vicenda un episodio «grave e doloroso più del carcere, più della deportazione».

(6. Continua)

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