Quel povero cristo di Friedrich Nietzsche

Uno dei giganti del pensiero del Novecento, Karl Jaspers (1883-1969), dedicò, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, un importante libretto al tema, centrale nel cammino della filosofia, del rapporto tra Nietzsche e il Cristianesimo. Oggi lo ripresenta, per la traduzione e la cura di Giuseppe Dolei, l’editore Marinotti (pagg. 142, euro 14).
Come tutti sanno, Friedrich Nietzsche (1844-1900) pose la scristianizzazione della società come uno degli obiettivi principali dell’epoca della «morte di Dio», uno dei suoi tratti essenziali. Figlio di pastori protestanti, Nietzsche crebbe in un ambiente fatto di parole e concetti e valori cristiani, che egli non rifiutò, assumendone le tematiche, radicando in essi il proprio pensiero, fino al momento della «trasvalutazione», ossia di quel superamento con il quale si dovrebbe inaugurare una nuova età della storia umana - un’età finalmente libera dal problema del «centro di gravità» (dell’universo come del pensiero) e del «senso» del mondo perché libera di creare essa stessa, continuamente, il proprio centro e il proprio senso.
Il grande filosofo distinse Cristo da un lato e il cristianesimo dall’altro, e lo fece a tal punto da contrapporli, mostrandoceli come due entità completamente diverse tra loro. Il cristianesimo tradì Cristo trasformando la sua pratica di vita in una fede. Ma qui le cose si complicano, poiché su ciascuno di questi argomenti Nietzsche mostra enormi oscillazioni, fino alla contraddizione patente. Rifiuta l’azione di Gesù come «decadente» per poi attribuire a se stesso i tratti essenziali della sua personalità. Ha parole di lode e di stima nei riguardi della tradizione cristiana e del clero, ma altrove ne parla come del male peggiore, da cui nascerebbero tutti gli altri. Il cristianesimo, opponendosi al mondo greco (nel quale, come sappiamo, Nietzsche vede il culmine dell’umanità), introduce il nichilismo nel mondo: quel nichilismo che Nietzsche riconosce anche in sé, e il cui superamento è lo scopo essenziale della sua opera.
Jaspers sottolinea l’impossibilità di cogliere un centro del pensiero nicciano: ma se di un centro dobbiamo parlare, esso non va certo ricercato nella coerenza sistematica, bensì nel movimento stesso del pensiero. L’opera di Nietzsche è insieme unitaria e frammentaria, come una lunga meditazione fatta di una infinita successione di illuminazioni, di pensieri improvvisi.
Tornando al rapporto di Nietzsche con il cristianesimo e soprattutto con Gesù Cristo, tra repulsione e identificazione, la grande novità di Nietzsche rispetto al passato sta nella centralità di una questione antropologica. Nessuna obiezione etica, nessuna opposizione in nome della scienza o dell’ontologia: Cristo è innanzitutto un uomo che dice di essere Dio. La sfida è questa, e la negazione deve stare a questo livello.
Non a caso l’ultima opera compiuta di Nietzsche, Ecce Homo, riprende una frase centrale del Vangelo. L’obiezione a Cristo non è filosofica, non è teorica. Il «no» a Cristo è detto in nome dell’istintività, del capriccio, della pura facoltà di cambiare idea, dell’unicità del suo ego (e non dell’ego in generale) il quale - proprio perché unico - non può essere ridotto a coerenza.

Nietzsche contrappone sé a Cristo - questa la novità della sua posizione. Non una critica della religione, ma un corpo-a-corpo tra persone reali. E, quindi, un’unità, forse la più essenziale che ci sia: quella della lotta.

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