Ma queste perle da noi per ora nessuno le ha (ri)pescate

Chi ama i libri non entra in libreria, opificio del consueto, lavanda gastrica dell'ovvio.

Ma queste perle da noi per ora nessuno le ha (ri)pescate

Chi ama i libri non entra in libreria, opificio del consueto, lavanda gastrica dell'ovvio. Servi del dio denaro e dell'ignavia diffusa, gli editori-transatlantico, quelli che fatturano, stampano, per lo più, romanzi illeggibili, dalle copertine sgargianti. Chi ama i libri percorre vie secondarie, vaga per mercatini, opta per le librerie corsare. A Ravenna, per dire, un autentico libraio, uguale allo gnomo Enghivuc de La storia infinita, inventore della libreria «Scattisparsi» che commercia libri fuori catalogo, mi ha mostrato i tomi de «Il timone», la «collana di viaggi» stampata negli anni '60 dall'Istituto Geografico De Agostini. I libri - da Appuntamento al polo sud di Edmund Hillary a Diario sahariano di Roger Frison-Roche, da Il condor di Christopher Isherwood a Il mio primo viaggio di Jean Cocteau - sono spesso meravigliosi; la serie ha il pregio di allineare i grandi esploratori italiani: Augusto Franzoj, Aurelio Bertòla, Giacomo Costantino Beltrami, Eugenio Turri. Eravamo un popolo di avventurieri, capace di avventatezze editoriali: ci siamo ridotti a un'editoria da divano, consuetudinaria, soporifera. La collana era diretta da Enrico Emanuelli, giornalista di genio, romanziere di talento. Il suo libro più bello, Curriculum mortis, non lo ristampa più nessuno dal 1968. Ma la lista dei libri necessari snobbati dall'editoria che conta è vastissima; accenno ad alcuni casi, clamorosi. Die Ästhetik des Widerstands («Estetica della Resistenza»; 1975-1981) di Peter Weiss pare, a leggere ciò che se ne dice nei Paesi in cui è stato tradotto, romanzo imprescindibile e immane, «un capolavoro», ha sintetizzato W.G. Sebald. Con la stessa enfasi dicono del Journal di Paul Léautaud: seimila pagine redatte in sessant'anni, dal 1893 alla morte dell'autore, il 1956, ricche di corroboranti crudeltà. Scrittore ossessivo, Léautaud sta al fianco di Céline e di Proust: insopportabile, viveva circondato dai gatti; filotedesco per sport, morì biascicando «e ora lasciatemi in pace». D'altronde, mancano in Italia i grandi libri di Marcel Johuandeau e gli ultimi tre libri della tetralogia Le Jeunes Filles, il capolavoro di Henry de Montherlant: Adelphi ha tradotto soltanto il primo, nel 2000. Generalmente, la grande editoria italiana è conformista e convenzionale, terrorizzata dagli estremi: così, nessuno pubblica Pierre Guyotat o Richard Millet o Jean Grosjean, fondamentalisti della forma; dal mondo anglofono - di cui siamo schiavi - abbiamo eliminato gli autori ambigui e affascinanti, Allen Tate, Robert Penn Warren, Roy Campbell (che ha ispirato a Tolkien la figura di Aragorn), Hugh MacDiarmid, solitario difensore dello scots, comunista e nazionalista scozzese. Storia antica, quella dell'afasia editoriale italiana. Nel 1985 Giovanni Raboni molla la Mondadori a causa, scrive, della «scarsissima presenza, negli attuali programmi, di un lavoro di ricerca».

E pensare che la collana «Medusa», che Raboni era stato chiamato a risollevare dalle ceneri, scommetteva su William Heinesen, austero scrittore nordico, l'Omero delle Fær Øer: il suo Noatun, introvabile, ha più vento, fierezza, potenza della maggior parte dei romanzi che trovate oggi in libreria. L'azzardo è un'eresia.

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