Se i saggi "revisionisti" finiscono fuori catalogo

La "pacificazione" è solo propaganda. Come dimostrato dai fatti. E anche dal conformismo dell'editoria italiana

Se i saggi "revisionisti" finiscono fuori catalogo

I l lucido intervento di Dario Fertilio su il Giornale del 25 aprile merita un approfondimento al secondo punto che ha giustamente evidenziato. Non ricordo esattamente chi ma tempo fa qualcuno disse che era giunto il momento di «revisionare il revisionismo», ed è quello che sta esattamente accadendo da un lato con le critiche e dall'altro con il silenzio.

Le parole che il presidente Mattarella ha detto nella intervista a La Repubblica sono un indizio molto «democristiano» e non sono all'altezza di quelle pronunciate dal «comunista» Luciano Violante in Parlamento quando era presidente della Camera nel 1996. Vent'anni sono dunque trascorsi invano. Però quelle poche ammissioni che il capo dello Stato ha fatto sul giornale di Mauro non ha poi sentito il dovere di farle in modo diretto ed esplicito nei suoi molti interventi pubblici, limitandosi a dire che non è possibile alcuna «equiparazione» fra le due parti, ma ha taciuto, che io sappia, sui molti lati oscuri e tragici della «resistenza» che ormai si conoscono tutti o quasi e non si possono negare. Visto che nella intervista qualcosa su questo piano ha concesso, il presidente Mattarella doveva confermarlo coram populo e questo suo atto avrebbe avuto un senso, anche minimo, di «pacificazione». E la sua condanna dell'«episodio barbaro e disumano» di Piazzale Loreto si sarebbe dovuto concretizzare, da parte di un cattolico praticante come lui, nel portare una corona di fiori sul luogo della «macelleria messicana» (Parri), come propose nel corso di una intervista che mi concesse anni fa Giampaolo Pansa: quello sì che sarebbe stato un segno concreto e vero di «pacificazione nazionale» senza «equiparazione». Che invece ancora non c'è: si veda il trattamento che hanno subito film come Il segreto e L'ospite , tanto per fare un esempio, considerati «un attentato agli ideali della resistenza» anche se hanno raccontato la verità.

Una «equiparazione» non la cercano nemmeno i reduci della Repubblica Sociale, anche perché l'equiparazione come legittimi combattenti l'hanno già ricevuta nel 1953 dal Supremo Tribunale Militare, pur se tutti lo ignorano. Quel che cercano, per usare una definizione anche qui di Gianpaolo Pansa, non è la «memoria condivisa» oggi propagandata, bensì una «memoria accettata»: anche quelli che erano dalla «parte sbagliata» e non si macchiarono di crimini ed efferatezze difendevano l'onore della Patria ed i suoi confini dal nemico. E le grevi polemiche contro l'onorificenza al capitano della RSI Paride Mori (ucciso in una imboscata) nella Giornata del Ricordo per essersi opposto ai titini sul fronte della Venezia Giulia, sono indicative di come una reale «pacificazione» sia lungi da venire.

Sono trascorse quasi tre generazioni dalla fine della guerra e i superstiti dell'una e dell'altra parte hanno come minimo 85 anni, stanno estinguendosi come è naturale, ma l'ANPI ha modificato il proprio statuto e ha aperto le iscrizioni a tutti, quindi continuerà a sopravvivere a se stessa, a percepire i contributi statali e a parlare ancora in nome della «lotta di liberazione», anche se ormai chi l'ha fatta veramente non esiste quasi più. Certo, rimangono i suoi «ideali», ma allora rimangono anche quelli della parte avversa. Che però combatteva per la dittatura, ma anche un cospicuo settore dei partigiani combatteva per instaurare in Italia una dittatura diversa, quella comunista come fu per i Paesi dell'Est europeo, anche se nessuno, nemmeno il capo dello Stato, lo ha ricordato, insistendo invece sul concetto, ritirato fuori per l'occasione, di «nazifascismo», che non è una categoria storiografica ma un concetto politico, ideologico e polemico. Quindi le cose non sono affatto semplici e lineari, qui solo il Bene, lì solo il Male.

Ma il silenzio non è stato solo quello del presidente Mattarella e degli altri politici, intellettuali, giornalisti, ma anche concreto. Nessuno che io sappia ha avuto l'idea e il coraggio di stampare o ristampare libri «revisionisti» sia saggi che narrativa. Eppure ce ne sono in abbondanza e molti di essi sempre validi ed efficaci. Nel diluvio di pubblicazioni sono mancati proprio punti di vista non conformisti, e il testo di Ugo Finetti, La Resistenza cancellata , è l'eccezione che conferma la regola.

Nessuno si è ricordato dei libri di Giorgio Pisanò, tanto per fare il nome di un precursore del «revisionismo», e del romanzo di Mario Castellacci per farne un altro dei tanti narratori della RSI. E questo va imputato soprattutto alla Destra, tristemente assente in questi giorni.

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