Se metti l'Avaro nelle mani di Grock

Lui, Arpagone, resta arido, possessivo, lontano dagli altri, chiuso nella palandrana sdrucita che Moliere ha scelto per identificarlo. Gli altri, parenti e servitù, girano a piacere attorno al canovaccio noto e lo spalmano in due ore e quindici filate, senza sosta, sempre in scena in un contorno misero come l'esistenza di Arpagone, eppure colorato e bizzarro

Se metti L'Avaro nelle mani di Quelli di Grock.
C'è interattività, teatro nel teatro, libere divagazioni, ma queste sono parole, vedere è un'altra cosa. E questo Avaro è da vedere per riconoscersi ancora una volta, specchiarsi e sentirsi piccoli davanti alle proprie avarizie e gelosie, in fondo quasi la medesima cosa. Ridendo, prendendosi in giro, facendoci beffa delle nostre manie, senza mai smettere il gusto di infilare sempre più il ferro caldo nei nostri sospetti.
Lui, Arpagone, resta arido, possessivo, lontano dagli altri, chiuso nella palandrana sdrucita che Moliere ha scelto per identificarlo. Gli altri, parenti e servitù, girano a piacere attorno al canovaccio noto e lo spalmano in due ore e quindici filate, senza sosta, sempre in scena, al limite oscurati dal giro di luci semplici che invadono un contorno misero come l'esistenza di Arpagone, eppure colorato e bizzarro. Fantastico. E ancora più fantastica è Roberta Rovelli, Elisa, la figlia. Si possono trascorrere le ore a cercare i fili invisibili che la muovono sulla scena, esilarante quando il padre la scaraventa giù e lei cerca di risalire sul palco, geniale nei suoi movimenti da scimmietta che dipingono tutto il quadro, mai ferma, curiosa, praticamente fulminata. Senza enfasi Moliere per primo si siederebbe in sala per capire come andrà a finire perché la storia è quella ma Quelli di Crock non danno mai niente per scontato. Con Arpagone che neppure davanti alla rivelazione della serva Saetta, Sabrina Morfirio, si sposta di un passo. Gira la voce della sua avarizia, tutti ne sono a conoscenza e lo deridono, insomma è chiacchierato e marchiato ma lui non sente, non c'è, avvinto dallo scrigno che contiene i diecimila pezzi del suo tesoro, nascosto in una doga del pavimento, sotto il suo costante sguardo amoroso. Lo derubano Arpagone, lo puniscono. E non è la regia di un solo miserevole ladro, ma la congiura dei suoi cari, l'unica scelta possibile per recuperarlo alla quotidianità, fargli prendere un contatto con il resto del mondo. Tutti bravi gli otto, non ne serviva ne uno in più ne uno in meno, tranne un improbabile re che, scelto fra il pubblico, finisce in mezzo al corridoio con veste regale e palpabile imbarazzo.

Il prezzo che si può pagare per uno squarcio di notte insospettata solo se non si conoscono Quelli di Crock, a quarant'anni dalla loro nascita, avvenuta per strada, o forse sotto una capanna dalle sembianze di palcoscenico. Saranno al Leonardo da Vinci di via Ampere( 02-26681166) fino al primo dell'anno, poi si cambia e qualunque affare venga messo in cartellone da Quelli di Crock farci un viaggio è solo cibo per la serenità.

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