Dove pittura, poesia e scultura s'incontrano

A Spoleto, Salvo Nugnes porta in mostra la pittura contemporanea. Ma anche scultura e poesia

Dove pittura, poesia e scultura s'incontrano

(Spoleto) Sotto il duomo, dopo una scala di 20 gradini, c'è una terrazza che domina tutta la città. Si chiama terrazza Frau ed è il luogo che ha ospitato Spoleto Arte, l'esposizione organizzata da Salvo Nugnes che ha visto passare tantissimi ospiti d'eccezione - come Vittorio Sgarbi, Silvana Giacobini, Yari Carrisi, Pippo Franco e Maria Rita Parsi (solo per citarne alcuni) - per osservare (e giudicare) le opere d'arte esposte. Non appena si entra nella mostra, si viene accolti da due quadri di Lucio Merlini che si (e ti) parlano: due giovani sono seduti a un tavolino del bar. Lei guarda altrove. È annoiata. Forse non vorrebbe nemmeno essere lì. Sta usando gli auticolari, mentre con una mano si tocca il collo. Lui guarda nella sua direzione, ma sembra non vederla. I suoi occhi sono assenti. I drink non sono stati toccati. I colori sono tutti tra il blue e il giallo e la realtà è delimitata da geometrie di rettangoli e quadrati. È un dipinto profetico: è stato realizzato nel 2015, ma parla anche di oggi. Dove la vita, a causa delle restrizioni causate dal Covid-19, si è spostata all'aperto. Ai tavoli del bar. Ma la vita si sta spegnendo. La gente non socializza più. Gli innamorati hanno paura di toccarsi. Di fare l'amore. Come racconta il quadro accanto, che completa questa sorta di dittico. Due innamorati sono immersi in acqua. Lei è nuda. Legata e allo stesso tempo libera di amare. Aspetta lui. Che non arriverà mai. Che, con occhialini e cuffia in testa, repelle il sesso. Ma la guarda da lontano. Non si avvicinerà mai. Il movimento non è umano. È dato solo dalle bolle d'acqua. Leggere. Effimere.

Dalla parte opposta della sala, le tre donne di Carla Patella. Un triangolo di sguardi e di femminilità (il filo rosso che collega le opere di quest'artista). La prima donna ha in mano una melagrana. Sembra quasi volerla offrire, ma la sua mano non si stende. Chiede che sia tu ad avvicinarsi. A portargliela via. La seconda donna, quella centrale, ha gli occhi di un verde pentrante. Ha in mano un'arancia e sembra accarezzarla, tenendola vicino al viso. La terza, infine, è più ritrosa. Non stringe alcun frutto, ma ha davanti a se un caco e dei mandarini. Sono i frutti dell'autunno, che richiamano i colori, in scala perfetta, delle protagoniste. Lo sfondo, fatto di erba e bosco, è invece dominato dalla luce. Dalla vita, che dà sempre frutto, custodita dalle tre donne.

Dal colore si passa al bianco e al nero di Angelo Bonarelli. Immagini essenziali non solo nei toni ma anche nella raffigurazione dei soggetti, come nel caso di People crossing the U Bein bridge, dove i protagonisti sono immortalati solamente di profilo, ma il loro volto, le loro espressioni e addirittura le loro preoccupazioni sono chiare. Nitide. Lo stesso si verifica in Interiorità e solitudine, dove l'elemento umano quasi sparisce (resta solamente una mano) ed emergono gli archi del palazzo della cività. Dritti e ribaltati, in un armonia disarmonica che richiama Escher. E sempre su queste tonalità la pioggia notturna di Ros'Aria Donato. Dallo sfondo nero emergono gocce e lapilli d'acqua bianca. Fili sottili che emergono dall'alto e che impattano al suolo, creando pozzanghere vive. E vivide. Dal bianco e nero al rosso, con i disegni, delicatissimi, di Federica Nobili. Donne dormienti avvolte da capelli di fuoco, mossi ed irruenti. Che contrastano con la docilità femminile. Il colore trionfa poi nei quadri di Corrado Avanzi. Qui tutto è irregolare e allo stesso tempo armonico. Ci sono mille tonalità di azzurro e di blu. E poi c'è il giallo che si mescola al verde, da quello acido a quello che ricorda il bosco, e all'amaranto. È un turbinio continuo di colori e di forme. Sono i Vari splendori della natura. Che è varia, tanto nella forma quanto nel colore. La geometria domina invece la tavola di Maria Camilla Pallavicini. Righe orizzontali, verticali e oblique si intersecano tra loro. Spiccano il verde, il viola e il blu. È una geometria tridimensionale che ti guida. Sono i Percorsi. Le strade della nostra vita. Che si incontrano ed incrociano. E determinano le nostre esistenze.

L'elemento femminile domina la stanza dedicata a Gino Baglieri. Qui la donna è presente in tutte le sue forme e si mischia. Come nelle tre grazie di ieri e di oggi. Ci sono quelle che richiamano Raffaello, ormai vetuste, quasi disgrazie, e quelle di oggi, che si spogliano e quasi sembrano sfidare la vecchia generazione. C'è poi la fonna sola, seppur in compagnia. È seduta sul letto, mentre si tiene le ginocchia e guarda davanti a sé. Il cane dorme di lat. Suo marito è in un angolo. Assente e svogliato. C'è la ragazza con libro che ha indosso solamente una camicia da notte e che è stanca. La mano le regge la testa, mente il libro, che rappresenta l'unico elemento di movimento del quadro, pare chiudersi. E poi l'elegia delle madri di oggi con il Covid in pediatria. C'è una donna che allatta in mascherina (e quante hanno dovuto farlo in questi mesi!) mentre alle sue spalle sbuca un'infermiera. L'ennesima donna. L'altra donna. Infine il quadro dolcissimo: la maternità con gatto. Una giovane ha il capo appoggiato al materasso mentre fissa il suo bambino. Si guardano così da minuti, o forse da ore. O forse ancora per l'eternità. Come solo le mamme sanno fare. C'è poi la donna che domina, seduta sul mondo mentre prega. È il dipinto di Micaela D'Onofrio. Ha le mani giunte, gli occhi chiusi e la testa rivolta all'indietro. Trust the plan è il titolo dell'opera. E noi ci fidiamo del piano.

Su un tavolo, in bella mostra, i busti. C'è il viso a metà realizzato da Pasquale Ricci (Celestino) e i due arcangeli di Saverio Ricordo. Celestino è l'uomo senza volto. Ha solo un occhio chiuso, il naso e la bocca serrata. Sulla sua spalla c'è un rosone di tatuaggi. Ci sono croci e quadrati. Il richiamo di una vita vissuta, che ha una storia. La vita sulla terra. I busti di Ricordo, invece, ci portano in cielo. I suoi arcangeli sono perfetti. Greci nelle fattezze, paradisiaci nelle espressioni. Le tre opere insieme uniscono terra e cielo. L'uomo con il divino. Completandosi e combattendosi.

Renato Rescaglio, abile mano veneziana, non può che dipingere uno squero per gondole. I colori sono tenui, le pennellate scompaiono e compaiono a seconda del volume che il pittore vuole dare. Qui c'è la migliore tradizione veneta, anzi veneziana, che raffigura questa fetta di terra, fatta di chiese, gondole e tanta acqua.

Come per la Pro Biennale di Venezia, anche a Spoleto un grande risalto è dato anche alla poesia. Ci sono gli eterni paradossi di Carmen Talarico (Città /immobili / nel rumore / del silenzio ... Mi muovo / in un vuoto / di pienezza / Geografie / di silenzi) e la gloria dimenticata di Roma descrita da Laura di Sabatino (Tra i campi / disertati / s'arena la gloria / dell'Urbe / tradita / Il nemico / ha ingabbiato / la storia / baipassando / il dolore: / tra le piaghe / dell'anima / ancora / continua / a cadere).

C'è poi la quotidianità cantata da Antonionetta Micali ne La mamma e da Andrea Lualdi in Scalare.

È su questa terrazza che l'arte si materializza. Diversi linguaggi per un'unica voce.

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