Al giorno d’oggi è difficilissimo trovare un artista che, almeno una volta nella sua vita, non si sia sentito in dovere di attribuirsi la patente di “trasgressivo”: dopo anni nei quali la trasgressione, quella vera, aveva scosso le coscienze e aiutato la società ad uscire da pregiudizi e inibizioni, oggi sono sufficienti un post intriso di retorica su un social, una foto, una dichiarazione, per trasformare un travet della musica o dello spettacolo in un rivoluzionario.
In questi tempi dominati dal “pensiero unico” è molto facile trovare consensi fingendosi “contro” quando invece si sta andando sul sicuro...
Ormai ci siamo dimenticati che per essere considerato un vero trasgressore sono necessari almeno due requisiti: farsi un sacco di nemici e pagare di persona un prezzo molto alto!
Uno degli esempi più elevati in questo campo è sicuramente Oscar Wilde, che nei quarantasei anni nei quali è stato al mondo ha scandalizzato i suoi contemporanei, ha messo in crisi l’Inghilterra vittoriana e il mondo intero, con le sue opere ma soprattutto con il suo inaccettabile (per quegli anni) comportamento.
Si sposa con Constance per due motivi, una grande affinità intellettuale e il cospicuo patrimonio della donna, mette anche al mondo due figli, ma non nasconde la sua omosessualità né alla moglie, né tanto meno al mondo intero. Quando scrive è divertente, ma affilato come la lama di un coltello, usa il paradosso per far riflettere il pubblico, mostra che in ogni aspetto della vita c’è sempre una seconda angolazione, non risparmia le critiche ad un mondo ormai ammuffito e impreparato all’arrivo del nuovo secolo. I critici lo detestano, indicandolo come il segno della decadenza e della disgregazione morale, lui sembra non occuparsi di loro, e nemmeno del pubblico, ma si compiace del suo ruolo di “sovversivo”, che esercita principalmente nei salotti, perché ama il lusso: la sua migliore produzione è proprio in ciò che diceva tra i nobili e i ricchi, nelle conferenze o nei grandi alberghi: “nelle mie opere ho messo il mio talento, nella mia vita ho messo il genio”, ripeteva spesso...
Il suo disprezzo per le convenzioni lo porta ad alzare sempre più l’asticella, fino a quando incappa in un innamoramento che gli sarà fatale: i genitori di Alfred Douglas, un giovane della buona borghesia, gli dichiarano guerra, sostenendo che il loro figlio è stato plagiato dallo scrittore. Il processo sarà senza esclusione di colpi, e si concluderà con una condanna per Wilde, due anni di lavori forzati. Da quel momento la sua sarà una guerra contro il resto del mondo, viaggerà, avrà amanti occasionali ed altri che non lo abbandoneranno mai (Douglas compreso), riuscirà a scandalizzare l’America, che lo ospiterà per fallimentari giri di conferenze, e tutta la vecchia Europa. Vivrà sempre al limite, spendendo soldi che non aveva, senza mai risparmiarsi nulla: la sua prosa avrà sempre un denominatore comune, la voglia di stigmatizzare l’ipocrisia della società.
Lo farà con “Il ritratto di Dorian Gray”, il suo capolavoro, con “De profundis” doloroso resoconto dei suoi anni di prigionia, e con altre opere capaci a volte di commuovere, a volte di divertire.
Ne “Il fantasma di Canterville” Oscar Wilde riesce in un colpo solo a ridicolizzare due bersagli: da una parte le incrollabili tradizioni della nobiltà anglosassone, rappresentate da Sir Simon, un nobiluomo del tardo Cinquecento che abita da secoli in un vecchio castello vicino ad Ascot terrorizzando da sempre gli abitanti del maniero, dall’altro il rude pragmatismo americano, rappresentato dai nuovi abitanti, la famiglia dell’ambasciatore Otis. Il risultato sarà esilarante, con i terribili gemelli Stars e Stripes (!) che finiranno per distruggere reputazione e sistema nervoso del povero fantasma, fino a un finale che sarà una satira di tutti i racconti horror che tanto piacevano al pubblico. L’autore colpisce con leggerezza, ironizza sulle differenze culturali, gioca beffardo con manie e incongruenze di due popoli allora molto diversi, se non contrapposti.
Questo è Oscar Wilde: la sfida dell’intelligenza, l’anticonformismo, la provocazione e la trasgressione, quella vera, quella che, se fosse vissuto oggi, gli avrebbe procurato migliaia di haters, con buonisti e benpensanti pronti a scatenargli addosso tempeste da tastiera! Negli ultimi anni di vita pagherà ancora a caro prezzo le sue intemperanze comportamentali e culturali, viaggerà molto (l’Italia sarà sempre una delle sue mete preferite), fino all’epilogo del suo percorso terreno, che avverrà a Parigi pochi mesi dopo l’inizio del nuovo secolo, un attimo prima che le luci della Belle Époque rischiarassero per alcuni anni irripetibili l’orizzonte del Vecchio Continente. Indebitato, costretto a chiedere soldi a tutti, rinnegato da molti e protetto solo da pochi fedelissimi, riuscirà a stupire anche nei suoi ultimi giorni di vita, alternando la morfina che gli era indispensabile a coppe di champagne! “Sto morendo al di sopra della mie possibilità” fu una delle sue ultime meravigliose frasi.
Quelli che lo conobbero si dichiararono fortunati, soprattutto dopo una inevitabile riabilitazione post mortem sulla quale lui per primo avrebbe ironizzato: i suoi aforismi e le sue battute diventarono leggenda.
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