Il turbine dei complotti dietro la morte di JFK e la lezione di Ellroy

In American Tabloid James Ellroy usava le teorie del complotto sulla morte di Kennedy per alimentare il meccanismo narrativo. Ma oggi la realtà ha superato l'immaginazione con il dilagare delle teorie del complotto

Il turbine dei complotti dietro la morte di JFK e la lezione di Ellroy

Jacqueline Kennedy in un’intervista pubblicata su Life del 6 dicembre 1963, registrata poco dopo la morte del presidente John Fitzgerald Kennedy il 22 novembre 1963, aveva detto una frase che avrebbe simboleggiato, nell’immaginario collettivo, un’epoca politica: “Ci saranno altri grandi presidenti, ma non ci sarà una nuova Camelot”. La presidenza di Jfk trasformata in una corte di cavalieri senza macchia guidati da un leader giovane e saggio che cercava di ripristinare un America che guidava il mondo attraverso l’esempio e non attraverso il realismo delle relazioni internazionali che insieme alle condanne del comunismo sovietico univa un sostegno attivo ai leader autoritari di destra dell’America Latina. Non solo: con il tempo si sarebbe fatta pulizia anche in casa, risolvendo la questione razziale, un “sogno” racchiuso nella visione del predicatore afroamericano Martin Luther King nella marcia di Washington del 28 agosto 1963.

I dubbi delle commissioni

Con l’omicidio Kennedy tutto era finito. Quel killer solitario, Lee Harvey Oswald, non poteva aver agito da solo, come avrebbe stabilito poi la commissione guidata dal giudice capo della Corte Suprema Earl Warren nella sua lunga relazione stampata il 24 settembre 1964. Ad accendere i sospetti, fu l’omicidio dello stesso Oswald da parte di un proprietario di night club, Jack Ruby, il 24 novembre, mentre era in custodia della polizia, ma anche il fatto che Oswald fosse comunista, una rarità assoluta nel Texas dominato dai democratici conservatori di quegli anni.

Ciliegina sulla torta: Oswald aveva vissuto in Unione Sovietica dall’ottobre 1959 al maggio 1962. Quindi c’era qualcosa che non andava. Da questa sensazione, persino una commissione d’inchiesta del Congresso, varata nel 1976 proprio per indagare sugli omicidi di Kennedy e di Martin Luther King, arrivò a determinare secondo prove dubbie che ci doveva essere un secondo tiratore, oltre a Oswald. Ma è nella letteratura e nel cinema che questa sensazione si è ampliata.

L'indagine di Ellroy

Non poteva mancare nell’interesse di uno scrittore noir come James Ellroy, che in romanzi come L.A. Confidential aveva efficacemente descritto il sottobosco squallido e moralmente miserabile che gravitava intorno alla Hollywood dei primi anni ’50. In American Tabloid, pubblicato per la prima volta nel 1995 e quest'anno riproposto da Einaudi con una nuova prefazione dell'autore, fece uno step oltre: così come in L.A. Confidential aveva demistificato il glam cinematografico, così tentò di capire cosa c’era sotto l’omicidio Kennedy. A partire dalle origini: le elezioni presidenziali del 1960, vinte di misura contro il candidato repubblicano Richard Nixon. Si dice che Joseph Kennedy, padre del futuro presidente, ebbe diversi incontri segreti con il mafioso di Chicago Sam Giancana nei pressi del lago Tahoe, al confine tra California e Nevada.

Ma è sull’omicidio che la fantasia di Ellroy si scatena. Ogni pezzo coinvolto nella cospirazione aveva interesse ad eliminare il presidente. I castristi cubani, perché aveva tentato di abbattere Fidel Castro nel 1961. La Cia, perché Jfk sarebbe stato contrario a un’escalation militare in Vietnam. L’Fbi diretta da J. Edgar Hoover, contrario ad un ampliamento dei diritti civili. Infine, il Ku Klux Klan, che non vedeva di buon occhio lo smantellamento della segregazione razziale al Sud. Oltreché, naturalmente, la mafia, che non aveva apprezzato l’eccessivo attivismo del procuratore generale Bobby Kennedy, fratello del presidente.

Tutte le tessere del mosaico vanno a posto nel libro. Tutto fila per ricostruire la cospirazione del secolo. Solo che il cospirazionismo, ventisette anni dopo la pubblicazione, ha invaso la società americana in ogni aspetto. Sull’efficacia dei vaccini, innanzitutto. Sulla vittoria di Joe Biden nel 2020. Sulle presunte “cene sataniche” a cui avrebbe partecipato Hillary Clinton nel sotterraneo di una pizzeria.

Il mea culpa dello scrittore

Così è arrivata una nuova prefazione di Ellroy contenuta nell'edizione pubblicata quest'anno da Einaudi e ora in libreria. Qui l'autore spiega che a lui, della veridicità delle vicende narrate, “non importa un fico secco”. Ciò che conta davvero, spiega, è “l’audace verosimiglianza” delle vicende trattate. Ammette di aver propagandato la teoria “Cia-Mafia-Cuba” perché “faceva vendere”.

Ma adesso tutto è cambiato: Ellroy è sulla linea della commissione Warren. A uccidere Kennedy è stato il tiratore solitario Lee Harvey Oswald. Spiega qui il perché: “Ad alimentare la mia conversione sono stati due libri. Mrs. Paine’s Garage, del mio amico Thomas Mallon. Marina and Lee, della defunta amica di Tom Priscilla Johnson McMillan. Sono due saggi profondamente elegiaci che fanno riflettere. Sono impeccabili dal punto di vista fattuale e da quello teoretico”.

Due saggi rigorosi hanno demistificato l’audace narrazione di Ellroy. Del resto è molto più difficile da comprendere perché una presidenza che aveva dato così grandi speranze al mondo (non sempre ben riposte) sia finita per un killer solitario con problemi mentali. Se andiamo però al 30 marzo 1981, Ronald Reagan venne ferito gravemente da John Hinckley soltanto perché quest’ultimo voleva conquistare la giovane attrice Jodie Foster, come faceva De Niro nel film Taxi Driver, caso clamoroso di come anche la finzione hollywoodiana influisse così pesantemente sulla realtà.

Il caso fortuito, del resto, lascia nell’opinione pubblica un senso di angoscia e di paura per l’ignoto molto superiore a quello di una cospirazione

ben congegnata da una penna felice come quella di Ellroy. Non è da tutti, però, fare ciò che ha fatto, anche contro il suo interesse di vendere copie del suo libro come “fonte veridica”, come altri autori continuano a fare.

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