"Norme identiche a quelle di 700 anni fa”. Maria Paola Zanoboni, studiosa e docente di storia medievale, fin dal primo decreto legge d'emergenza emanato il 23 febbraio di quest'anno ha osservato con stupore come le misure di difesa collettiva nei tempi delle epidemie siano alla fine sempre le stesse: “Già nel Trecento, prima in Italia e poi in Europa, vennero promulgate norme che oggi ci appaiono di sconcertante attualità: il divieto di assembramento, di ritrovo, di spostamento delle persone, obblighi di isolamento, di quarantena, di comunicazione alle autorità. Esattamente le misure che stiamo sperimentando in questi mesi”. Ne è nato un libro, “La vita al tempo della peste – Misure restrittive, quarantena, crisi economica” (Jouvence, pagine 214, euro 18), nel quale l'autrice ripercorre le epidemie in Italia e in Europa che hanno avuto nel XIV e nel XVI-XVII secolo i loro apici.
Molte le analogie con le misure anti Covid: “Oggi si chiudono i locali pubblici, allora si chiudevano le taverne. Niente commerci, facevano eccezione solo le farmacie e i negozi di alimentari. Si chiudevano le scuole, si cancellavano, come oggi, tutti i tipi di manifestazioni pubbliche, comprese fiere e mercati. Niente cerimonie religiose, funerali, processioni. Nel Cinquecento, durante la cosiddetta peste di San Carlo, furono allestiti altari nelle strade affinchè la gente potesse seguire la messa da finestre e balconi”. Racconta sempre Maria Paola Zanoboni: “Si diffonde fin dal XVI secolo la pratica della quarantena generale, il nostro lockdown, prima a Palermo, poi Milano, Firenze, Genova. Quest'ultima città emanò un decalogo di regole, tra cui l'obbligo di stare serrati in casa e il permesso per il solo capofamiglia di uscire al mattino per fare la spesa. A Palermo nel 1575 – poi copiata da Milano – di fronte all'indisciplina della popolazione furono erette delle forche in tutta la città nelle quali venivano sommariamente giustiziati coloro che uscivano di casa infrangendo le regole. A Chiavari fu uccisa all'istante una donna colpevole di non aver denunciato la morte di peste del marito”.
Fin dal 1348 le città italiane, al Centro Nord e poi anche al Sud, furono le prime in Europa a darsi delle ferre regole sanitarie, poi copiate ovunque; furono istituite delle autorità apposite e fa dato il massimo rilievo al flusso di informazioni che potesse far prevedere l'arrivo della malattia da altre aree. Tali norme si diffusero in Francia, in Germania, ultima l'Inghilterra: anche qui la storia si ripete.
Pessime, allora come oggi, le reazioni della gente, intollerante alle restrizioni della libertà e fortemente provata sotto il profilo economico: oltre che di peste, si moriva di fame. Per questo a Firenze, durante il lockdown del 1630, furono distribuiti sussidi economici e viveri, misure poi adottate ovunque: ma anche allora c'erano i furbi che restavano chiusi in casa se il sussidio era superiore al salario, e che uscivano per lavorare (nel caso potessero farlo) se era inferiore. Ovunque le autorità erano disperate anche perchè le regole fortemente impopolari innescavano le rivolte della gente: per perseguire l'igiene, venivano infatti bruciati materassi e arredi delle case più povere.
Le spese che dovettero affrontare le amministrazioni furono enormi, anche perchè ai danni della peste si sommavano quelli provocati dalla crisi economica. Le casse delle città si prosciugavano in fretta. Per finanziare la sopravvivenza i metodi furono sempre gli stessi: aumento delle imposte indirette, emissioni forzose di titoli del debito pubblico, nuove tasse. Sullo sfondo, l'inflazione.
A Milano nel secondo Quattrocento furono rilevanti le variazioni di valore del ducato l'oro rispetto alle monete d'argento d'uso comune: così si assistette a rincari enormi e generalizzati, mentre la vita quotidiana si faceva sempre più dura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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