Un’altra meteorite giudiziaria sta precipitando sull’Italia, dritta nel cuore del sistema politico e istituzionale. Ad anticiparla è il settimanale Panorama, in edicola da questa mattina. Molto complesso spiegare chiaramente quel che sta accadendo e quel che accadrà, perché al momento bisogna lavorare come pazienti archeologi su pochissimi reperti. Possibile titolo dell’intrigo: «D’Addario, complotto alle cime di rapa». Rapido riassunto della trama: il famoso scandalo che ha scosso il Paese nei mesi scorsi sarebbe abilmente costruito a tavolino, dentro le segrete stanze di Bari e della Puglia. La escort Patrizia, questa strana tizia che va a uomini con il registratore, non sarebbe una povera preda capitata per caso a Palazzo Grazioli in una serata dell’autunno 2008, ma una scafatissima esecutrice di ordini. Un burattino in missione speciale. Alle sue spalle, burattinai insospettabili e una diabolica manovra per impallinare il premier.
Adesso è il caso di tentare una ricostruzione più dettagliata. Secondo Panorama, il primo a non bersi il racconto di D’Addario e combriccola sarebbe a suo tempo il nuovo procuratore capo di Bari, Antonio Laudati. Il magistrato, 55 anni, ha un grande passato d’inquirente al fianco del generale Dalla Chiesa. Conosciuto come uomo intelligente e puntiglioso, arriva a Bari nel settembre scorso. Subito si trova sul tavolo l’esplosiva vicenda che ha pesantemente messo in difficoltà Berlusconi. Già dai primi approfondimenti, questa storia non lo convincerebbe per niente. La D’Addario, personaggio centrale dello scandalo, è una prostituta ben nota alla polizia per la sua attività d’alto bordo. Si sa che già in passato ha registrato o filmato altri incontri. Assieme ai collaboratori, il capo della procura lavorerebbe su un’ipotesi: questa donna non è capitata nella storia per caso, come una squillo qualunque. Qualcuno l’ha reclutata proprio in base al suo qualificato curriculum. Si comincia così a scavare nel personaggio. Molti elementi interessanti emergono dai suoi conti bancari, alcuni direttamente intestati a lei stessa, altri a prestanome. Salta fuori persino una somma di 1,5 milioni di euro, che otto mesi prima dello scandalo la D’Addario in prima persona trasferisce a Doha, in Qatar. Perché tutti questi soldi? Da dove arrivano?
Il lavoro di scavo prosegue. Risulta che la D’Addario, in quanto arma letale, viene imbucata nella famosa cena di Palazzo Grazioli da Giampaolo Tarantini, il tipo rampante e disinvolto alla disperata ricerca di entrature molto su. Ma risalendo a ritroso si apprende che la donna viene personalmente consigliata a Tarantini dal suo socio, quel Massimiliano Verdosca crocevia di tante relazioni eccellenti, poi miseramente finito in galera per spaccio. È la conferma che la D’Addario non finisce in casa Berlusconi per casuale coincidenza: qualcuno ce l’ha fatta arrivare, di passaggio in passaggio, con scelta precisa, grazie alle sue specifiche qualità di donna scaltra e spregiudicata. Lucida e per niente improvvisata appare difatti la sua condotta durante l’intera operazione: prima entra in casa Berlusconi con il registratore e si premura di confezionare la prova, quindi all’esplosione dello scandalo gira mezza Europa per distruggere la reputazione del premier.
I magistrati di Bari su tutto questo ora starebbero lavorando, anche se è doveroso riferire che un’agenzia, citando «fonti giudiziarie baresi», riporta la smentita dell’inchiesta. C’è il giallo a tutti gli effetti. Non esiste fiction dei più fantasiosi sceneggiatori in grado di competere con questa spy-story pugliese. Difficile muoversi tra voci, soffiate, patacche e smentite. Ma Panorama non sembra concedere spazio ai dubbi e insiste: l’inchiesta c’è, i magistrati sono addirittura prossimi a tirare le conclusioni. Inutile specificarlo: si preannunciano deflagranti. Nel mirino, i cervelli del criminoso trappolone. Sarebbero almeno una dozzina, distribuiti nei diversi ambienti pugliesi. Magistrati, giornalisti, politici, professionisti della Bari altolocata. Ciascuno diligentemente impegnato a svolgere la propria parte. L’idea del complotto, che già il Giornale a suo tempo aveva avanzato, si realizza con un sapiente dosaggio di pedine e di mosse. Dagli investigatori uscirebbero notizie e rivelazioni pilotate, messe a disposizione di giornalisti molto collaborativi, che le utilizzano a dovere (da qui, l’inchiesta già nota per la fuga di notizie). Dietro, sullo sfondo, una certa politica interessata a gambizzare il premier, costi quel che costi, senza esclusione di colpi, persino con gli squallori a luci rosse.
L’ipotesi sarebbe supportata da un ribaltamento degli attori e dei ruoli. Risulta che Tarantini abbia speso una montagna di euro, tra feste, regali, viaggi e magari altra roba, per risalire la filiera delle conoscenze fino a Berlusconi. All’inizio dello scandalo tutto questo viene spiegato semplicemente con la sua personalissima bramosia affaristica, ma alla luce delle nuove rivelazioni anche Tarantini scenderebbe di un gradino, diventerebbe a sua volta un esecutore, in missione per conto di altri, cui magari deve qualcosa o che comunque vuole compiacere. Chi? Se lui e la D’Addario sono i burattini, chi muove i fili della «Bari connection»?
Sarebbe questione di pochissimo tempo. Il risultato dell’inchiesta, inscindibilmente legata al filone della sanità corrotta, secondo Panorama emergerà prestissimo, con tutti i suoi effetti immaginabili.
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