Dai diritti una breccia nell’Islam

Stragi nei Paesi islamici, tensioni con i fondamentalisti islamici. Da questa parte del mondo arrivano tante notizie e quasi tutte preoccupanti. Si ha l'impressione che all'interno dell'Islam si stia rinforzando l'applicazione della legge divina, la Sharia; in realtà sta avvenendo esattamente il contrario, in particolare nel Nordafrica e ancor più in Egitto.
Ne sono passati di anni da quando al Cairo - facendo tremare le piramidi - il parlamento, dopo 1500 anni di attività, mandò in pensione i càdi (ovvero i giudici di Diritto musulmano) e varò non solo i codici di stampo europeo ma anche i tre gradi di giudizio (la legislazione islamica conosce un solo grado la cui sentenza è inappellabile) introducendo la prescrizione ignota alla precedente legislazione. È anche vero che il movimento si è mantenuto costante nella stessa direzione: il processo di laicizzazione del diritto è proseguito con una sua regolarità arrivando ad influenzare una istituzione sovranazionale qual è la «Lega araba» .
Ma all'interno di questo gigantesco cambiamento in campo giuridico la vera rottura sta maturando nel mondo arabo proprio sui diritti umani: la concezione laica della persona umana e dei rapporti civili ha già permeato il diritto di alcuni paesi arabofoni e ora sta imponendosi all'interno della Lega araba, che ha approvato al vertice di Tunisi dell'estate scorsa, una «carta araba dei diritti dell'uomo» che ha buone possibilità di essere applicata. Questo trattato, una volta ratificato dai singoli Paesi arabi, introdurrà nei loro sistemi giuridici dei principi che sono consolidati in Europa ma appaiono «rivoluzionari» per una società musulmana del ventunesimo secolo proprio perché si pongono come leggi dello Stato in piena contrapposizione con il passato, ovverossia con il Diritto musulmano che peraltro non è poi tutto coranico. Si va dall'uguaglianza tra uomo e donna al divieto assoluto di comminare pene inumane o degradanti, qual è la tortura, dal rifiuto per la schiavitù a quello di ogni forma di discriminazione, senza possibilità di deroghe. Il trattato si sofferma anche su diritti che la «Convenzione europea sui diritti dell'uomo e sulle libertà fondamentali» (1950) e il «Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici» (1966) non contemplano, come quelli dei disabili. Né la carta si dimentica di vietare il commercio di organi umani, lo sfruttamento sessuale e l'utilizzo di bambini in guerra, che flagellano le classi popolari di molti di questi Paesi. Le radici laiche del documento emergono nel preambolo, che, dopo aver riconosciuto la pluralità delle religioni rivelate, chiama in causa la divinità per affermare l'antropocentrismo, dove parla di «dignità dell'uomo che Dio ha onorato dalla creazione del mondo».
Sorprende che la carta non riconosca alcuna preminenza giuridica al Corano mentre si richiama apertamente ai trattati internazionali e alle legislazioni nazionali. Prima di entrare in vigore, la carta deve essere ratificata da almeno sette Paesi arabi ma oggi parecchi governi, e particolarmente quelli nordafricani, sono disposti a molto pur di non essere esclusi dalla cooperazione internazionale.
Certo non basta una Carta dei diritti umani a garantire società più giuste all'interno di Paesi che non sono democratici. Ma è significativo che il processo in questa direzione non sia stato fermato dalla vittoria di Hamas in Palestina, né da quella, parziale, dei Fratelli Musulmani al Cairo. È l'inizio di un percorso o in alcuni casi la continuazione di un processo di riforme graduale: in tutto il Nordafrica la legge coranica è stata sopravanzata da tempo dalle legislazioni parlamentari in un fenomeno vastissimo, ma molto sfuggente, che coinvolge ora gran parte dei Paesi musulmani. E ai quali stanno contribuendo, lontani dai riflettori dei media, esperti occidentali, tra cui anche degli italiani, talvolta con pubblicazioni particolarissime e in arabo.
A Londra si è svolta una gigantesca Conferenza con 200 studiosi e leader di comunità musulmane in Europa sostenuta dall'Emiro del Kuwait - che ne ha incaricato dell'organizzazione il grande nome della pubblicità e delle pubbliche relazioni, la «Ogilvy» - sugli aspetti «normali» della civiltà islamica.

Decisamente non solo anti-terrorismo ma anche contro ogni corrente tentativo, all'esterno e all'interno del mondo arabo-islamico, di caratterizzare questo mondo con la lotta alla civiltà occidentale.
Non c'è solo orrore e fondamentalismo nelle cronache dal Medio Oriente.

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