«Davanti al killer di papà l’odio è diventato pena»

da Milano

La strada del perdono passa attraverso l’odio. È il paradosso di Antonia Custra: «Per guardare negli occhi chi ti ha fatto del male, devi prima fare i conti col tuo dolore e la tua solitudine, devi attraversare la terra desolata in cui ci sono solo rabbia e ira». Antonia Custra porta sulle spalle la foto simbolo degli anni di piombo: gli scontri in via De Amicis a Milano, il 14 maggio 1977. Quel giorno Antonio Custra, il padre di Antonia, fu colpito a morte da un proiettile sparato dagli autonomi. «Ho iniziato a soffrire ancor prima di nascere, sono venuta al mondo orfana».
Ha mai pensato all’assassino di suo padre?
«Ovviamente lo odiavo, ma non sapevo il suo nome, forse non volevo nemmeno saperlo».
Troppa sofferenza?
«Vivevo come congelata nell’angoscia. Avevo paura a entrare in camera di papà. Per molto tempo lui è stato solo una foto in salotto».
Che cosa l’ha smossa?
«L’incontro con Mario Calabresi, figlio del commissario Luigi. Lui mi ha svelato il nome del killer: Mario Ferrandi».
È stato uno choc?
«Una scarica elettrica. Ho pensato: finalmente un nome da odiare con tutta me stessa».
È andata così?
«In verità la mia vita è partita solo quel giorno, a trent’anni. Ho iniziato a studiare quel periodo, mi sono confrontata con la realtà, con quella realtà, per quanto sgradevole. E ho capito che avrei voluto incontrare Ferrandi».
Perché?
«Curiosità, desiderio di capire, bisogno di rimarginare il mio dolore».
E incontrarlo l’ha aiutata?
«Ho visto una persona segnata.

E per la prima volta le mie labbra hanno pronunciato la parola perdono. E in quel momento ho scoperto di non essere più prigioniera del mio lutto. Anche se la morte di papà che nemmeno ho conosciuto, me la porto sempre dentro».

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