Roma - «Furibonda», la descrivono i compagni di (ex) partito, che ieri mattina sono stati tirati giù dal letto dalle telefonate di Rosy Bindi.
La vicepresidente della Camera e presidente del Pd non ci sta, non vuole essere neppure lontanamente paragonata all’altra Rosi (Mauro), collega di nome e di ruolo al Senato e testé travolta dallo scandalo sul vorticoso giro di diamanti, lingotti e lauree in casa Lega. E appena letti i giornali, che raccontano come la Bindi sia stata messa dall’ex tesoriere Lusi nel mucchio di quei dirigenti della Margherita che, in prima persona o «tramite loro referenti», erano «legittimati a chiedere contributi» e a bussare alla sua porta per farsi saldare i conti delle loro attività di corrente. «Le iniziative politiche da me organizzate sono autofinanziate e non ho mai ricevuto da Lusi nemmeno un euro - tuona la presidente del Pd - Né sono mai stata a conoscenza di presunti accordi spartitori». E annuncia querele a raffica: contro il Giornale, la cui lettura ieri le ha mandato il caffè di traverso, visto che il suo nome era citato nel titolo di prima pagina, e poi contro «tutti gli organi di informazione che hanno pubblicato il falso sul mio conto». Agli ex Dl la Bindi ha chiesto manforte, sollecitando denunce «collettive» contro chi vuole «trascinare nel fango» il buon nome di un glorioso - ancorché defunto - partito.
E si capisce che la Bindi sia infuriata, a ritrovarsi chiamata in causa dal tesoriere fellone e - nei sospetti di molti big della Margherita - «manovrato dalla destra, che gli sta promettendo di salvarlo dalla galera a patto che lui sollevi più polverone possibile contro il Pd».
Proprio lei, oltretutto, che da anni non è mai mancata ad un girotondo, ad un ritrovo di «popolo viola», ad una manifestazione filo-giustizialista; proprio lei che è sempre stata in prima fila nel condannare chi incappava in qualche storia di malapolitica: a destra, naturalmente, ma anche dalla sua parte. Quando nell’estate 2011 iniziarono a piovere accuse sul capo di Filippo Penati, la Bindi (che pure lo aveva sostenuto con calore nel 2009, da candidato alla Regione Lombardia, come colui con cui «si può cambiare sul serio e fermare il ventennio formigoniano») fu implacabile. «Non mi è mai piaciuto», affermò. E si attirò calde antipatie in casa ex Ds insinuando dubbi sulla inattaccabilità morale di quel partito: «Se anche venissero provate le colpe di Penati, i bilanci del Pd ne certificano l’estraneità. Spero sia lo stesso per i Ds, da cui proviene». Ma se sugli ex Ds la Bindi nutre dubbi, sugli ex Psi le sue sono certezze antropologiche: «Bisognava saperlo che Tedesco era un peccatore. È un ex socialista», commentò quando arrivò la richiesta d’arresto per il senatore del Pd pugliese. Affermazione un tantino razzista, che fece scappare la pazienza all’ex Psi Rino Formica, il quale si prese la briga di ricordare alla «guardiana della rivoluzione» Bindi il «finanziamento da 50 milioni della corrente andreottiana» alla allora candidata Dc.
Mentre la Bindi prepara querele e nega di aver ricevuto «un solo euro» dalle casse della Margherita, Lusi annuncia una controquerela per essere stato «ingiuriato e diffamato» e gli altri big del partito invitano a distinguere nel polverone: «C’è un uso personale, e già documentato dalle cronache, del finanziamento dei Dl, e un uso politico», dunque legittimo, sottolinea Lapo Pistelli. Concorda Enrico Letta sulla «piena legittimità dell’uso dei rimborsi per l’attività politica», e Dario Franceschini ricorda che «le indagini sono sui soldi sottratti» da Lusi, «e non su quelli destinati alle attività politiche».
Giuseppe Fioroni, unico esponente della Margherita che dal primo giorno ha rivendicato la differenza tra «ruberie» e «attività politica», oggi allarga le braccia: «Se
l’avessimo spiegato tutti fin dall’inizio, che un conto è pagarsi ville e vacanze, un altro è saldare i conti dei manifesti e dei convegni, oggi non saremmo qui a prenderci fango per gli unici soldi che Lusi ha impiegato bene».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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