Roma - «Ne ho discusso poco tempo fa con il ministro Passera: se i governi europei, compreso quello italiano, anticipassero di un anno l’applicazione della direttiva sui ritardi di pagamento della Pubblica amministrazione, l’uscita dalla crisi potrebbe essere più rapida». Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Ue, conosce bene questo scottante dossier. Il fenomeno dei pagamenti ritardati è diffuso, ma in Italia raggiunge livelli da record: le ultime stime parlano di 70-80 miliardi di crediti vantati dalle imprese nei confronti della Pubblica amministrazione. Quasi la metà dei 180 miliardi di arretrati nell’intera Unione europea.
Su questo enorme problema il governo ha fatto un primo passo, ma rischia di incartarsi su problemi tecnici. Nel decreto sulle liberalizzazioni è stato inserito un finanziamento di 6 miliardi per pagare i vecchi debiti della Pubblica amministrazione con i fornitori. In realtà, a disposizione dell’esecutivo ci sono non più di tre, al massimo quattro miliardi. Lo conferma il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo: «Abbiamo recuperato tre-quattro miliardi di residui, raschiando il barile, li abbiamo messi in bilancio e con questi pagheremo subito», dice.
Si ipotizzava la possibilità di pagamenti attraverso titoli di Stato. Ma il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, che ha in mano il dossier, frena bruscamente: «Emettere nuovi titoli per pagare l’arretrato è per definizione emettere debito pubblico. Dobbiamo trovare il modo di ripagare senza mettere in discussione il pareggio di bilancio». E poi, i creditori avrebbero davvero gradito Bot e Btp anzichè bonifici bancari? Ci sarebbe stata una corsa alla vendita dei titoli, con ripercussioni negative sullo spread.
Anche l’ipotesi di utilizzare la Cassa depositi e prestiti è, di fatto, impraticabile: «Potrebbe essere una soluzione non compatibile col pareggio di bilancio», aggiunge Passera parlando alla commissione Industria del Senato. Il ministro conferma che il debito commerciale, nel momento in cui si trasforma in debito finanziario rientra nei criteri di Maastricht, «a maggior ragione se per ripagarlo emettiamo altri titoli». Insomma, l’operazione rimborso sarà pure «rapida», come dice Polillo, ma va studiata con estrema cura. E i tempi, a questo punto, potrebbero non essere così rapidi. Nel frattempo le imprese, specie le medio-piccole, soffrono, attanagliate fra la stretta creditizia e i ritardi del debitore pubblico.
L’Italia è «maglia nera» in Europa nella classifica dei tempi e dei ritardi dei pagamenti: chi lavora con la Pubblica amministrazione vede arrivare i bonifici in media dopo 180 giorni , contro i 64 giorni della Francia, i 47 giorni del Regno Unito, i 35 giorni della Germania. Dal 2009 a oggi le cose sono peggiorate: ci vogliono 52 giorni in più per ottenere il dovuto, calcola la Cgia, associazione artigiani di Mestre.
La direttiva europea che andrà in vigore entro il marzo 2013 prevede che la Pubblica amministrazione debba pagare i beni e i servizi che acquista entro 30 giorni, o entro 60 giorni nel comparto della sanità. Dopo quella scadenza, si applicano gli interessi di mora pari al tasso Bce maggiorato di almeno l’8%. La Spagna ha accettato di anticipare la scadenza del 16 marzo; la norma, prevista in una bozza preliminare, è invece sparita dal decreto sulle liberalizzazioni. Eppure come spiega Tajani in una lettera ai ministri europei dell’Industria, «l’attuazione anticipata è assolutamente necessaria per assicurare che le nostre imprese sopravvivano a un periodo di difficoltà economiche».
Soltanto dalle Asl, le imprese italiane vantano crediti valutabili in 35-40 miliardi di euro, una cifra enorme che si è accumulata negli anni. Le forniture di dispositivi medici vengono saldate con 925 giorni di ritardo in Calabria, 829 giorni in Molise, 771 giorni in Campania, 387 nel Lazio. L’Azienda sanitaria locale di Napoli I impiega 1.
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