
Viene usato il calice donato da Papa Francesco durante la sua visita a Milano del 25 aprile 2017 e che non sia una formalità lo si comprende dai ricordi di quella breve, lunghissima giornata che continuano ad affiorare nella mente e sulla bocca di tutti, a partire dall'arcivescovo Mario Delpini, che l'ha definita «memorabile» e che adesso celebra in un Duomo gremito la Messa in suffragio del Papa, la cui morte, dice Delpini, «ha avuto un immenso impatto emotivo». Una delle frasi più ricorrenti sulla bocca del vescovo di Roma, a ogni Angelus e a ogni incontro, è stata «ricordatevi di pregare per me». Ecco, è ciò che accade in questa sera ancora piena di luce mentre Delpini predica con i paramenti pasquali, tra fedeli e turisti commossi: «Che cosa si può dire di Papa Francesco? In questi giorni si può dire molto», ad esempio che è stato «un profeta che ha invocato ostinatamente e pare inutilmente la pace». Si può dire molto. «Noi diremo solo questo: è un cristiano che ha fatto Pasqua. È stato fastidioso, irritante per la sua parola in nome del Vangelo. Ha proposto uno stile di vita, di attenzione ai più poveri. I cristiani che hanno fatto Pasqua sono lieti, timorosi, fastidiosi e irritanti». È la fine dell'omelia e anche il suo inizio.
Le parole pronunciate dal pulpito sono tutte una preparazione per parlare di papa Francesco, che il giorno precedente Delpini aveva già paragonato al santo di cui ha voluto prendere il nome e che oggi definisce un cristiano che ha fatto Pasqua. Seppur in modo eccezionale. Ecco com'è: pieno di gioia. «Insiste, è tenace fino all'ostinazione, si affatica senza risparmio, si consuma fino all'esaurimento delle energie per sostenere nei fratelli e nelle sorelle la speranza che non delude. Si fa carico della gioia, della perseveranza, della speranza dei fratelli e delle sorelle». Il pensiero corre alla benedizione urbi et orbi che Francesco ha voluto impartire la domenica di Pasqua, all'abbraccio della folla mentre in papamobile non risparmiava le sue forze pur di festeggiare la Pasqua con il popolo di Dio. «Con tenacia ha celebrato la Pasqua e oggi la vive» aveva detto già domenica scorsa Delpini nella chiesa di Sant'Angelo, in un'affettuosa commemorazione a braccio. Adesso torna su quel cristiano, Papa Francesco che ha scolpito il suo saluto pasquale nei cuori di tutti.
«Il cristiano che ha fatto Pasqua conosce la trepidazione perché la verità decisiva è troppo bella, è troppo grande - dice Delpini -: chi ha fatto Pasqua conosce il timore dell'esperienza indicibile di Dio e dell'inadeguatezza delle parole». E qui scorrono le tante immagini di un pontificato fatto di gesti, di pastorale, più ancora che di dottrina. «Il cristiano che ha fatto Pasqua è irritante, mette a disagio, si rende antipatico perché annuncia in Gesù la risurrezione dei morti». Torna su un'idea che aveva già espresso il giorno precedente, l'arcivescovo, e cioè che la radicalità evangelica di Francesco, il suo essere vicino a migranti e poveri, abbia messo in difficoltà chi non riesce a lasciasi toccare il cuore: «Disturba perché prende la parola anche se non è autorizzato dalle autorità costituite. È fastidioso perché porta un messaggio sconcertante e mette in discussione le consuetudini pigre, la prepotenza dei potenti». È un segno di contraddizione. «Tocca il cuore di quelli che hanno ascoltato la Parola e credono, ma suscita l'ostilità di coloro che non vogliono più sentir parlare di Gesù». Ecco il ritratto che Delpini pennella di Francesco.
Ciascuno ha il suo Papa da ricordare e l'unione della politica milanese e lombarda nel rendere omaggio a Francesco è solo un'altra tessera del mosaico.
Nelle prime file in Duomo, il presidente della Regione Attilio Fontana, il sindaco Giuseppe Sala («è sempre stata una guida, credo che abbia interpretato il momento storico»), la vice sindaco Anna Scavuzzo, il prefetto Claudio Sgaraglia, il questore Bruno Megale, i comandanti militari.
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