Andy Garcia lo ha detto: «Cuba non è come l’Italia, vorrei che fosse libera». Appena un applauso, della Canalis e di una parte dell’Ariston. Morandi ha fatto una smorfia, gli era andata bene la battuta sugli italiani infedeli con la moglie, ma l’uscita di Garcia lo ha messo in fuorigioco. Parlare di Cuba per lui e per molti altri della squadra e del Paese diventa complicato. Perché Fidel, perché l’Avana, perché el pueblo unido. Ma Garcia è nato a Cuba e da Cuba se ne andò, portato via dalla sua famiglia due anni dopo la revolución di Castro, perché quella non era più l’isola che lui, Andy, sente, ama, «perché Batista è stato il peggiore dittatore», lo dice lui medesimo, bastava studiare, consultare le sue cento interviste, ma nessuno sa esattamente ciò che sono stati Castro e Che Guevara, nessuno sa, lo ha ripetuto cento volte lo stesso attore, che cosa sia accaduto e che cosa accada ancora nelle prigioni, quale sia la vita quotidiana dei cubani, quelli che non ballano, che non fumano Montecristo, che non bevono rhum e cuba libre. C’è un’altra Cuba che nessuno degli autori di Sanremo ha voluto conoscere e per fortuna Garcia conosce bene.
Nessuno ha voluto sputtanarsi, come canterebbero Luca&Paolo, quello è un argomento border line perché ci sarebbe da parlare, da scrivere ma da noi c’è il regime, il bavaglio ed è opportuno, elegante fermarsi, applaudire Garcia perché si limita a suonare il piano, perché dimostra incantamento per Eli e Belen, perché ha fatto il suo atto di presenza, meglio così, una botta e via, stando ben lontani da eventuali temi scottanti. Ci ha lasciato quelle parole: «Cuba non è come l’Italia, vorrei che fosse libera». Libera? Da chi? Da che cosa? Se non ora, quando?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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