Derby sospeso: non ci fu un patto tra le tifoserie

Non ci fu nessun accordo tra le tifoserie di Roma e Lazio dietro il derby del 2004, sospeso all’inizio del secondo tempo dopo la diffusione della falsa notizia della morte di un ragazzino durante gli scontri tra teppisti e polizia fuori dall’Olimpico. Cadono le accuse più gravi nell’inchiesta della Procura sulla partita del 21 marzo di tre anni fa, quelle originarie di istigazione a disobbedire alle leggi dello Stato e violenza privata: i magistrati hanno depositato gli atti ipotizzando soltanto il reato di invasione di campo e quello di procurato allarme. Da notare che i tre ultras giallorossi che trattarono la sospensione del match, invocando i calciatori della loro squadra a non riprendere il gioco, potranno presto tornare allo stadio, non appena ripartirà il campionato, perché hanno scontato la diffida a loro inflitta, che scadrà il 21 marzo.
Per loro, e per gli altri quattro indagati, tutti romanisti, si profila una richiesta di rinvio a giudizio con accuse ridimensionate rispetto a quelle originarie, che riguardano la violazione delle norme di sicurezza negli stadi. E in caso di condanna gli indagati potranno estinguere i reati ricorrendo all’oblazione. I tifosi che hanno ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini - firmato dai pm Elisabetta Ceniccola e Vittoria Bonfanti - sono Roberto Morelli, Stefano Sordini, Stefano Carriero, Andrea Frasca, Daniele De Santis, Antonio Schiavo e Gianluca Lucani. I magistrati gli contestano di aver scavalcato il divisorio di vetro che delimita la Curva sud e di aver invaso il terreno di gioco durante il derby. «Condotta - scrivono i pm - da cui derivava il pericolo concreto per i presenti in considerazione della particolare affluenza di pubblico e del clima di tensione che si era creato in campo e sugli spalti». Morelli è l’unico del gruppo a dover rispondere di procurato allarme: sarebbe stato lui a diffondere nello stadio la falsa notizia della morte di un giovane tifoso investito da un mezzo delle forze dell’ordine. «Notizie e circostanze - si legge nel provvedimento - idonee a turbare l’ordine pubblico in quanto comunicate sul campo di gioco ai calciatori e, in particolare, al capitano della Roma Francesco Totti». Inutili, quella sera, i tentativi dell’allora questore Nicola Cavaliere e del prefetto Achille Serra, i quali cercarono di far capire in tutti i modi ai presenti che le notizie circolate erano infondate. La partita venne sospesa dall’arbitro Roberto Rosetti dopo una consultazione con l’allora presidente delle Lega Calcio Adriano Galliani.

«Non commento le decisioni della magistratura - ha commentato Serra - certo resta un po’ di preoccupazione non tanto per i tre tifosi ma per il messaggio trasmesso a quei delinquenti soci dei tre, che rischia di essere devastante».

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