Nel 1968, in un albergo di Londra, Ezra Pound sfoglia il manoscritto di The Waste Land. Valerie, la seconda moglie di Thomas S. Eliot, la sua segretaria, ha 42 anni, il viso quadrato, una dedizione feroce: è lei che ha chiesto a Pound quell'incontro, che gli ha portato il faldone. Cinquantaquattro pagine, recuperate dalla New York Public Library. Risorte dal regno dei morti. «Mi piacerebbe pensare che il manoscritto, con i passi eliminati, fosse irrimediabilmente scomparso, mentre d'altro canto vorrei che il blu segnato su di esso fosse conservato come testimonianza innegabile del talento critico di Pound», aveva scritto Thomas S. Eliot nella prefazione ai Selected Poems by Ezra Pound, editi da Faber nel 1948 e tradotti da Mondadori - sia lode ad Alfredo Rizzardi - nel 1960. Il manoscritto originale di The Waste Land fu pubblicato nel 1971; Eliot era morto sei anni prima, Pound sarebbe morto l'anno dopo. Il manoscritto with Ezra Pound's annotations si può leggere sul sito della British Library: le correzioni di Ez sono innumerevoli, la sua scrittura è feroce, pare un condor che inveisca sul corpo bianco della vittima, succulenta. Come si sa, The Waste Land esce nel 1922, in UK, sul Criterion; poi negli Usa, su The Dial, infine, in volume, nel settembre del 1923, per la Hogarth Press dei coniugi Woolf, tirato in 450 copie. Come si sa, esiste, nella storia della poesia recente, un prima e un dopo The Waste Land: quel «poemetto disarmonico, caotico» (così Eliot), fragilissimo, di una trentina di pagine, è il libro più autorevole del secolo.
Eliot aveva seguito alla lettera i consigli di Pound, al punto da dedicargli l'opera, «al miglior fabbro». «Pound era una guida tirannica. Egli ha avuto sempre la passione di insegnare», ricorda. Si erano conosciuti nel 1915, grazie a Conrad Aiken, venivano entrambi dagli Stati Uniti, Pound era più grande di tre anni. Riconobbe in quel discepolo di Harvard, riservato fino all'acciaio, all'accidia, che imitava Jules Laforgue e si esercitava scrivendo poesie sull'Ippopotamo e su Un uovo da cuocere, il talento. Brigò, com'era nel suo stile, esageratamente generoso, per fargli pubblicare il primo libro, Prufrock and Other Observations, era il 1917. «A quel tempo Pound viveva in un tetro appartamento di Kensington... Abitò lì finché, mi pare nel 1922, si trasferì a Parigi; ma sembrò sempre soltanto di passaggio». Eliot ricorda una caratteristica di Pound consustanziale al suo carattere: «Ogni stanza, anche spaziosa, sembrava troppo piccola per lui». Anche la Storia, in qualche modo, gli pareva un abbaino, l'abbaiare di un cane senza coda: era irrequieto, dall'energia esorbitante, apolide, «non ho mai conosciuto un uomo, di nessuna nazionalità, che vivesse così a lungo fuori dal paese natio senza sembrare di stabilirsi in un altro luogo».
Nel 1922 Pound aveva cominciato l'immane lavoro nei Cantos; per lui i riferimenti erano Omero, Cavalcanti, Ovidio, Confucio, John Adams; per Eliot erano Virgilio, Baudelaire, Agostino, i discorsi del Buddha, George Santayana. Eppure, The Waste Land dimostra che la poesia - dopo l'alba delle singole ispirazioni - può essere l'opera che sigilla un'amicizia. Gli anni li separarono: Eliot trovò congeniale Londra, lavorò alla Lloyds Bank, diventò il direttore editoriale della Faber, classicist in literature, royalist in politics, and anglo-catholic in religion, un'autorità letteraria, insomma. Pound si trasferì in Italia, impalcò un'opera oceanica e proteiforme, fu arrestato, accusato di essere un traditore della patria, prossimo a Mussolini, e gettato al St. Elizabeths di Washington. Nel 1948 Eliot ottiene il Nobel per la letteratura; nello stesso anno lavora per far avere a Pound, in prigione, il Bollingen Prize. «Gli piaceva fare l'impresario dei giovani, e l'animatore dell'attività artistica in qualsiasi ambiente si trovasse», ricorda Tom. Li univa l'amore per Dante e l'idea che la poesia fosse, infine, pura sapienza, il coltello che squarcia il mondo illusorio, che fa esplodere enigmi.
Quando, molti anni dopo, Pound sfoglia il manoscritto che gli ha portato Valerie, semplicemente, piange. «Pound resta immobile e in silenzio, e inizia a piangere. Nel 1969 si presenta alla New York Public Library per vedere i documenti originali, ma la scena si ripete. Pound non ricorda nulla» (Carmen Gallo). Forse è lì, nel pianto di Pound, in quel nulla in lacrime, che la letteratura del secolo finisce, in una voragine di cristallo. «E la verità sta nella tenerezza», scrive Ezra nel Cantos CXIV, pubblicato tra i Drafts and Fragments proprio nel 1968.
La terra devastata. Così Carmen Gallo ha tradotto The Waste Land per il Saggiatore (pagg. 176, euro 19). Primizie accademiche: «desolata - scrive la curatrice - ben si attaglia alla dimensione atemporale del mito e della leggenda»; «devastata, interpreta meglio il clima postbellico in cui il testo fu composto, mettendo in evidenza la dimensione storica e transtorica del poemetto». Nonostante le intenzioni di Eliot - che orienta la lettura del testo intorno alla cerca del Graal, all'ombra del Ramo d'oro di James Frazer - la curatrice rileva nella poesia la prepotenza della Grande Guerra. Lo fa con dovizia d'intelletto (25 pagine di introduzione, molto belle, e 87 di note), cercando di mandare in oblio le versioni di Mario Praz, Roberto Sanesi, Alessandro Serpieri, Angelo Tonelli (giocate a compararle). Io preferisco ancora la soluzione estrema proposta da Angiolo Bandinelli, che per Stampa Alternativa, nel 1995, ha tradotto The Waste Land come Il paese guasto, legandosi a un'intuizione di Giorgio Caproni, che in un verso di Dante - «In mezzo mar siede un paese guasto», Inferno, XIV, 94 - vide «una remota, forse inconscia matrice del titolo eliotiano». La stessa ipotesi è utilizzata da Daniele Gigli nel profilo biografico dedicato a T.S. Eliot. Nel fuoco del conoscere (Edizioni Ares, pagg. 168, euro 14), libro che va letto sinotticamente a La terra devastata per capire le anime diverse, notturne, del poeta.
Eliot ha scoperto grandi poeti - W.H. Auden e Ted Hughes, tra gli altri -, ha imposto un modo nuovo di guardare alla letteratura - il «New Criticism» dipende da lui -, ha influenzato la cultura pop - Cats, il musical di Andrew Lloyd Webber, è tratto dal Libro dei gatti tuttofare di Sir Thomas. In Eliot, tuttavia, il sussiego fa schermo alla follia, il rigore alla dissipazione, il logos cela la mania, originaria (che traluce nelle reiterate crisi depressive e nel rapporto tormentato con la prima moglie, Vivienne Haigh-Wood, sibilla ispiratrice della Waste Land, morta nel 1947 in un istituto per malattie mentali). Anni dopo, con i Quattro quartetti (1943), Eliot troverà una formula lirica di implacabile esattezza; nella Terra desolata dialogano sacro e osceno, benedizione e alienazione, tortura e incanto. Galleggiano un grumo di immagini indelebili: «Madame Sosostris, famosa chiaroveggente» che «aveva un brutto raffreddore»; la Unreal City avvolta dalla «nebbia marrone di un'alba invernale»; «Tiresia... vecchio con seni vizzi di donna»; «Phlebas il fenicio» morto in mare, «una corrente sottomarina/ sgretolò in bisbigli le sue ossa»; il Tamigi da cui «le ninfe sono partite»; il Gange «infossato...
la giungla rannicchiata, curva nel silenzio»; e Dante che si mescola alle Upanishad, e l'incipit, memorabile, «April is the cruellest month, brreding/ Lilacs out of the dead land...». In fondo, The Waste Land è puro rito, è il poema che va cantato ad alta voce, che ha in sorte il sortilegio. Va ballato.
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