Il comunicato di Massimo Sher, medico, da sempre in prima fila nella difesa dei diritti dei malati e dei detenuti, sembra non lasciare spazio a dubbi: Salvatore Mascellino, condannato per omicidio e richiuso nel carcere di Opera, è affetto da «una patologia neoplastica rara (fibrosarcoma dei tessuti molli della coscia destra)», per cui «si ritiene che le condizioni cliniche attuali siano assolutamente non compatibili con il regime carcerario». «In queste condizioni - spiega Sher - gli restano pochi anni di vita». Ciò nonostante, secondo quanto denuncia il medico, a Mascellino non verrebbe data la possibilità di curarsi, e anzi le sue condizioni reali di salute sarebbero state occultate grazie ai rapporti compiacenti dei sanitari del carcere milanese: «Abbiamo denunciato per falso ideologico il direttore sanitario di Opera», ha raccontato Sher in una conferenza stampa organizzata a Palazzo di giustizia.
Una storia sia di malagiustizia che di malasanità, apparentemente. Al centro della vicenda, un personaggio vulcanico: lui, Mascellino, veronese, classe 1958, una vita in fuga. Nel 1982, quando aveva appena ventiquattro anni, ammazza a Monaco un maestro di sci, per una lite scaturita da un traffico di valuta in cui era implicato all'epoca. Ma prima che la giustizia italiana lo incastri, Mascellino sparisce nel nulla. Emigra in Spagna, viva tra Marbella e Andorra, mette su una seconda famiglia, si dà da fare con business di vario tipo. Fino a quando, nell'ottobre 2008, la polizia iberica lo arresta a Cadice: nei suoi confronti è diventata definitiva la condanna (singolarmente blanda) a nove anni di carcere emessa dalla Corte d'appello di Trento per l'omicidio del maestro di sci. Nel 2009 l'uomo viene estradato in Italia e chiuso ad Opera. E qui inizia la sua lotta per ottenere la liberazione.
Mascellino spiega di essersi ammalato durante la latitanza di tumore alla coscia e al rene, di essersi curato ed operato, ma di essere ricaduto. Chiede di essere curato. Ma l'unico medico di cui si fida, dice, è un medico di Marbella. Il carcere e il tribunale di sorveglianza gli offrono di andare a fare una tac per confermare la recidiva del tumore: ma lui rifiuta, a ripetizione. Non si fida dell'Istituto dei tumori, nè dello Ieo, nè del Policlinico. Vuole andare a Marbella, o al massimo al San Raffaele. Dove però non viene accettato.
Chiede di andare ai domiciliari, a casa della prima moglie: ma la donna, interpellata dal tribunale, fa sapere che non ha alcuna intenzione di riprenderselo a casa. Ma lui ha pronta la contromossa: c'è un signore che era nel letto accanto al suo, durante un ricovero in ospedale, che è diventato suo amico e che se lo prenderebbe a casa. Ma, vista anche la gravità del reato per cui è stato condannato, prima di lasciarlo uscire dal carcere bisogna essere sicuri che sia davvero gravemente malato. E qui casca l'asino, perché il detenuto rifiuta le analisi. Ma intanto fa partire le denunce.
Il prossimo 3 marzo il tribunale esaminerà di nuovo il suo caso. Sapendo che ci si può trovare di fronte ad un furbacchione che le tenta tutte per uscire di prigione; ma anche che è possibile che sia davvero malato, e che la sindrome da complotto di cui è vittima gli renda difficile fare la cosa più sensata, cioè accettare di essere visitato e curato senza bisogno di andare fino in Spagna. Se Mascellino venisse scarcerato e si desse alla macchia, le polemiche sarebbero inevitabili. Ma le polemiche, e ancora più violente, ci sarebbero anche se gli venisse rifiutata l'istanza di libertà, e poi la sua malattia avesse conseguenze drammatiche. Nell'attesa di vedere come se la sbrigheranno carcere, medici e giudici, resta una curiosità: cosa c'entra con questa storia Roberto Calvi, il banchiere milanese trovato impiccato sotto il ponte di Blackfriars, a Londra, nel giugno 1982? Nulla, si dirà.
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