Diario di Tobia, il gatto del Duce

Non era mia intenzione pubblicare queste pagine, in quanto io sono un gatto abbastanza serio e - contrariamente a certi uomini - tengo molto alla mia dignità.
Come gatto volevo restare fedele alla memoria del mio padrone, pur se non ne ho mai diviso le idee politiche. Perché è bene avvertire subito che io non sono mai stato fascista ed ho sempre criticato apertamente il Regime. Anzi, posso assicurarvi che se Mussolini avesse ascoltato i miei miagolii, le cose sarebbero andate diversamente. Dicevo che non era mia intenzione dare alla stampa questo diario perché ho sempre ritenuto poco onesto da parte di quelli che Gli erano vissuti vicino, di sfruttare, per interesse o vanità, tutti i segreti dei quali erano in possesso e gettarli in pasto ai lettori, i quali, avidi di conoscere tutto su di lui, sono spesso costretti a digerire formidabili pastoni di cose risapute e di frescacce.
Gli uomini, quelli che gli sono stati più vicini e della cui amicizia e devozione nessuno avrebbe mai dubitato, non hanno avuto questo pudore di gatto ed hanno cominciato a raccontare nel modo più feroce, alterando fatti ed avvenimenti. Persino chi non sapeva scrivere si è deciso a frequentare rapidi corsi serali per imparare e dedicarsi quindi alla ricostruzione del «suo» memoriale!
Ecco perché anch’io ho deciso di pubblicare le mie memorie che hanno soprattutto lo scopo di far conoscere finalmente la verità sulla vita dell’uomo che se rivivesse oggi dovrebbe modificare uno dei suoi motti più noti in «Molti amici, molti diari!».
Non sarà certamente, il mio, l’ultimo, ma se a uno dovete credere, se uno ne dovete prendere sul serio, ebbene, lettori, scegliete questo. A me potete credere, perché io non sono un uomo e non gli sono mai stato amico.
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\ Non sempre il Duce era severo e sgarbato, qualche volta sapeva essere gentile e riconoscente anche con me. Una mattina che, aprendo la finestra, mi vide in giardino nell’atto di pulirmi il muso con la zampina destra, credette che mi fossi deciso a fare il saluto romano e subito mi chiamò e scherzò a lungo simpaticamente. Mi promise, in quell’occasione, che avrebbe inventato per me, e me lo avrebbe dedicato, uno dei suoi famosi slogan. Si rinchiuse nel suo studio e pensò a lungo. Quando riuscì era sorridente. L’aveva trovato! Ora non restava che imporlo e non gli fu difficile. Dopo pochi giorni in tutte le trattorie si poteva leggere il cartello: «Sabato trippa». Nessuno ha mai saputo che questo cartello fu dettato dal Duce ed in mio onore (anche perché non era firmato neanche con la solita «M»). Ecco perché è rimasto in tutti i locali, senza divenire oggetto di epurazione.
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\ Stanotte ho fatto uno strano sogno, Mussolini mi chiamava e mi faceva vedere due fogli dattiloscritti, con sopra ad ognuno una data. Il sogno è stato così intenso, che ricordo perfettamente quanto c’era scritto. Ecco qua:
1940. Con l’indimenticabile incontro del Quirinale fra il Re e il Duce si iniziava una nuova Storia d’Italia. Si fondava finalmente lo Stato veramente unitario, si risolvevano per sempre le contraddizioni del Risorgimento. Le masse lavoratrici entravano nella vita corporativa, si instaurava lo Stato attraverso la giustizia morale, si redimeva la terra improduttiva, si addiveniva alla conciliazione fra lo Stato e la Chiesa. Nasceva la Grande Italia Mussoliniana che doveva affrontare vittoriosamente l’impresa etiopica e liberare il Mediterraneo dalla insidia bolscevica, portando aiuti a Franco, insieme alla felice unione del Regno d’Albania all’Impero italiano.
1946. Per quanto riguarda l’Italia, il fascismo distrusse il sistema monarchico. Sostanzialmente il potere era nelle mani della monarchia, della grande industria e della proprietà terriera, della Corte e dello Stato Maggiore. Le grandi decisioni erano di fatto sottratte al Parlamento e alla opinione pubblica. Asservito al Senato, di nomina regia, e in gran parte alla Camera mediante gli interventi nelle elezioni a collegio uninominale e le fedeli clientele, che formavano la maggioranza parlamentare.
«Hai letto, Tobia?», mi chiedeva il padrone, nel sogno. «Ho letto». «Indovini di chi è il primo brano?». «No». «Be’, te lo dico io: è di Mario Missiroli, l’attuale direttore del Messaggero. E adesso indovini di chi è il secondo?». «Non saprei», rispondevo io. Allora il Duce si metteva le mani sui fianchi, come quando era vivo e parlava dal balcone di Palazzo Venezia; gonfiava il torace, tirava indietro il capoccione e mi diceva: «È di Mario Missiroli, pure questo!».
A noi gatti non piace di essere messi nel sacco, nemmeno in sogno, motivo per cui nel sogno, in risposta allo scherzetto fattomi dal Duce, tiravo fuori a mia volta altri due fogli. Ricordo benissimo quello che c'era scritto anche su questi, come se ce li avessi ancora davanti:
1938. Il fascismo è soprattutto sensibilità, vale a dire va incontro a quelle che sono le richieste e i bisogni degli italiani, grandi e piccoli, viventi dentro e fuori i confini d’Italia. L’idea fascista ebbe i suoi combattenti, i suoi caduti, i suoi martiri. È triste affermare questo, dopo che vi ho detto che i Fasci dovettero lottare contro i cattivi cittadini. Ma i cattivi cittadini erano stati come avvelenati da ciò che predicavano loro gli illusi e gli stolti. Benito è il Duce amato e venerato degli italiani e per lui l’Italia è ritornata miracolosamente tutta giovane come ai tempi in cui più gloriosa fu la sua storia.
1943. È difficile immaginare una più inerte apatia di nazione. La colpa maggiore della dittatura fascista sta in questo fatto: di avere reso incosciente, apatica, indifferente una nazione spronata per una dozzina d’anni all’eroismo, all’azione, alla conquista. Subdola e velenosa, la tirannia ha fatto più male che se fosse stata feroce e crudele.
«Duce, di chi è il primo pezzo?». «Di Paolo Monelli», rispondeva il padrone. «E il secondo?». «Non saprei». «Be’, è di Paolo Monelli pure il secondo». Allora, nel sogno, chi sa perché, Mussolini diventava Giulio Cesare sotto la statua di Pompeo. A questo punto, però, mi sono svegliato.
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\ Il gatto del col. Valerio è ancora alle mie calcagne, sempre più deciso a regolare i conti con me! Per farmelo amico ho provato a fargli sapere che nel periodo dei repubblichini ho tenuto nascosto per tre mesi un gatto partigiano. Niente da fare! Però credo di aver capito che il suo vero scopo non è tanto quello di mettermi al muro, quanto di impossessarsi - dopo - del collare d’ottone che porto al collo e che lui deve ritenere d’oro.
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\ Quando venne la cosiddetta liberazione, per evitare di essere appeso come un abbacchio e quindi venduto per coniglio, decisi di nascondermi. Seppi che molti fascisti cercavano ospitalità nei conventi e così decisi anch’io di rifugiarmi in uno di questi. Il Padre Guardiano mi venne ad aprire. Non era una faccia nuova; infatti, dopo pochi giorni venni a sapere che si trattava di un federale toscano, camuffato a quel modo. Mi fermai solo alcuni giorni, poi uscii, travestito da cane bassotto.
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\ Chi ha seguito questi miei gattiloscritti si sarà reso conto che - per quanto animale - io una certa cultura me la son fatta e qualche dimestichezza con le lettere l’ho acquistata. Tuttavia, non mi faccio illusioni e non sogno di vincere premi letterari. So troppo bene che simili fortune capitano magari a cani e somari, ma non c'è esempio fino ad ora che mezzo milione di lire per un romanzo-rigagnolo, o trecentomila lire per una poesia ermetica se le sia pappate un gatto. Perciò, scrivo unicamente quando ho qualche cosa da dire e leggo esclusivamente quando non ho niente da fare. È stato così che mi sono sciroppato Il vecchio con gli stivali di Vitaliano Brancati. Se devo dire la verità, in una frettolosa occhiata alla copertina avevo creduto di leggere «Il gatto» anziché «Il vecchio» con gli stivali e mi ci ero buttato a pesce. Poi, fin dalle prime pagine mi sono accorto dell’equivoco, perché il romanzo descrive la sorte di un «povero diavolo» oppresso dal fascismo, il quale è costretto ad iscriversi per campare e per non vedersi impedire la carriera, e che, sempre allo stesso fine, combina un sacco d’imbrogli per farsi riconoscere la qualifica di squadrista senza esserlo mai stato.
Una situazione verosimile, insomma, anzi vera, ché certe situazioni non s’inventano! E difatti, se la memoria non mi inganna, io una storia tale e quale a questa, la conosco. Se la memoria non m’inganna - dico - ho conosciuto personalmente uno scrittore la cui vicenda somiglia a quella del vecchio con gli stivali al punto che il libro si direbbe la sua biografia... Lo scrittore di cui mi sfugge il nome, riuscì a farsi qualificare antemarcia senza averne diritto, al solo scopo di assicurarsi una brillante carriera letteraria e scolastica (perché mi ricordo che si tratta di un professore) e vinse il concorso per la cattedra di italiano, in quanto il suo nome era compreso nella graduatoria speciale degli antemarcia. Vero è che più tardi, al tempo dell’epurazione, rifugiatosi a Catania, sulla scheda epuratoria negò lealmente e coraggiosamente di avere la scroccata qualifica, riuscendo così ad evitare la sospensione dal posto di professore statale, che colpì tutti gli antemarcisti. Proprio come il protagonista del romanzo, lo scrittore di cui non riesco a ricordare il nome fu oppresso dal fascismo: oppresso di premi, di riconoscimenti personali del Duce e di encomi solenni per un dramma e un romanzo composti per costituirsi titoli fascisti e ispirati al «suo» Duce, che indirettamente, attraverso le riviste fasciste, lo beneficava.


Mannaggia li sorcetti, ce l’ho sulla punta della lingua e non riesco a ricordarmelo!... Vit... Bran... Porca miseria, scommetterei che si chiamava una specie di Vitaliano Brancati... Ecco, ci sono: Brancati Vitaliano!

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