Dietro le critiche quel federalismo che fa paura ai finanzieri chic

Tra gli accusatori di Bossi parte di quei circoli che hanno affossato il Paese

Del duro attacco a Umberto Bossi (la scatenata accusa è che la Lega sarebbe corre­sponsabile di 16 anni di non scelte) da parte di «Italiafutu­ra », vicina a Luca Cordero di Montezemolo, con un artico­lo di Carlo Calenda e Andrea Romano sul sito dell’associa­zione, quello che stupisce pri­ma di tutto è l’improntitudi­ne degli accusatori: anche senza voler tornare sulle re­sponsabilità di ambienti stori­camente legati al presidente della Ferrari, che dagli inizi degli anni Novanta hanno contribuito a impantanare l’Italia,ba­sta riferirsi più precisamente al­le dirette imprese della «compa­gnia » strettamente montezemo­liana per capire come questa non possa permettersi di lancia­re accu­se e perdipiù senza nean­che un accenno di autocritica.

È proprio il circolo montezemoli­sta che dagli inizi del Duemila, prima sabotando l’allora gover­no Berlusconi (che aveva com­p­iuto riforme interessanti innan­zitutto sul mercato del lavoro), poi sostenendo, insieme a Gu­glielmo Epifani, il governo Pro­di, cercando successivamente di alimentare stravaganti (consi­derando chi le proponeva) cro­ciate anticasta, puntando anco­ra, di recente, sull’astensioni­smo e infine appoggiando le di­sperate imprese del povero Gianfranco Fini, sono proprio questa«compagnia»,questi«cir­coli » che rappresentano uno dei fattori principali di disgregazio­ne della nostra società. È il non schierarsi mai né a de­­stra né a sinistra. È il lavorare so­lo­per difendere l’influenza di cir­coli ristretti che costituisce uno dei più gravi fattori di deteriora­mento della nostra realtà politi­ca ed è la causa principale (co­me si può constatare anche dal­l’operazione «gonfiamento» di Fini con cui si è fatto i conti in questi mesi) della difficoltà a da­re risposte di sistema.

Solo tenendo conto di questa realtà si può poi passare a critica­re i comportamenti della Lega. Che gli uomini di Bossi abbiano talvolta difficoltà a passare da proposte generali a formulazio­ni imp­eccabilmente istituziona­li è in qualche caso vero. Ma dire che la caratteristica di fondo del leghismo sia quella di evitare le scelte, è falso. Basta farsi un giret­to nelle amministrazioni comu­nali o provinciali guidate dai «pa­dani » per cogliere come vi operi un interessante spirito del fare fa­cilmente riscontrabile.

E questo spirito non nasce dal niente, ben­sì proprio dal quel ricostruire un rapporto tra politica e società che i vari circoli elitistici hanno stremato. È evidente come in un’Italia in cui il crollo dello Sta­to nel 1992 venne affrontato per via giudiziaria e mediatica inve­ce che politica, e non fu possibi­le, per l’accanita chiusura diset­tori dello Stato, rimediare al di­fetto di fondo allora dimostrato­si, il sistema decisionale sia in sé assai deficitario. Ma sarebbe beffardo scambia­re alcuni­effetti derivati dalla no­stra grande crisi provocata dalla politicizzazione della magistra­tur­a per le cause che hanno pro­vocato questi guasti: e tra queste non ultima c’è anche l’ambizio­ne elitistica di «comandare tut­to».

La Lega oggi ha promosso l’unica via, quella del federali­smo fiscale, per risanare il Pae­se, attaccarla oggi in un certo mo­d­o non è scelta motivata dalla vo­lontà di metterla di fronte alle proprie responsabilità, bensì l’ennesimo

tentativo di blocca­re tutto per proteggere i sistemi di influenza dei soliti (peraltro sempre più isolati:c’è nei monte­zemoliani anche il tentativo fur­besco di recuperare un rapporto con Emma Marcegaglia) «noti».

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