Improvvisamente il mondo si accorge che la sponda sud del Mediterraneo è una polveriera, che l'incendio scoppiato prima in Tunisia poi in Egitto potrebbe diffondersi in tutto il vicino oriente con conseguenze catastrofiche. L'Egitto è stato fino ad ora il pilastro della stabilità di quest'area, con un trattato di pace con Israele, con un rapporto stretto con gli Stati Uniti, con un prestigio culturale e religioso indiscusso ma anche con caratteristiche di fragilità molto elevate. L'Egitto ha più di ottanta milioni di abitanti con una crescita demografica di oltre un milione di persone all'anno su un territorio esiguo (il 90% è deserto) esausto per le conseguenze di una antropizzazione plurimillenaria, e una economia fatta di terziario, turismo e agricoltura.
Si calcola che i disordini abbiano causato una perdita del Pil del 10% e che l'intero sistema potrebbe collassare se la situazione non si risolve in un modo o nell'altro. In un quadro simile il saccheggio e la vandalizzazione del Museo egizio del Cairo, testimoniati a più riprese dai media, può apparire ben poca cosa ma non è così e i precedenti verificatisi in situazioni analoghe in altri Paesi lo dimostrano.
Durante la guerra fra i talebani (appoggiati dagli americani) e gli occupanti sovietici dell'Afghanistan andò quasi distrutto il museo archeologico nazionale di Kabul che custodiva le più importanti testimonianze dell'arte Gandhara, un fenomeno culturale unico al mondo creatosi con l'incontro fra la civiltà greca e quella indiana in seguito all'occupazione macedone dell'Afghanistan e all’istituzione del regno greco di Battriana durato oltre due secoli. Qualche anno fa il museo è stato ricostituito grazie all'opera di alcuni coraggiosi archeologi che erano riusciti a mettere al sicuro in luoghi segreti i pezzi che avevano potuto salvare, ma le perdite sono comunque inestimabili.
La ragione per cui ciò è avvenuto sta nel fatto che per i talebani quegli oggetti avevano al massimo un valore venale per cui si potevano vendere per finanziare la guerra con il ricavato oppure erano semplicemente testimonianze di un mondo pagano e quindi si potevano tranquillamente distruggere. La prova è la distruzione dei Budda di Bamyan, due colossi scolpiti nell'arenaria alti uno cinquantatrè metri e l'altro trentasette. Ambedue furono sbriciolati a cannonate e poi con l'esplosivo nel marzo del 2003 e a nulla valsero le pressioni da tutte le parti del mondo perché i due capolavori fossero risparmiati, né l'offerta del Metropolitan Museum di New York disposto a tagliarli e a rimontarli in America.
Non molto diversamente andarono le cose in Irak, dove in occasione dell'occupazione americana di Bagdad l'Iraki Museum fu saccheggiato e centinaia di pezzi di straordinario valore scomparirono senza lasciare traccia. Fra essi il busto in rame di Sargon II, un'opera che compare in tutti i testi di storia dell'arte del mondo. Il bilancio finale fu disastroso: ancora oggi centinaia di capolavori mancano all'appello e in tutto il Paese si parla di molte migliaia di pezzi scomparsi. La maggior parte probabilmente di valore contenuto ma molti, tuttavia, di importanza fondamentale. Anche qui l'opera degli archeologi iracheni, americani, italiani e di altri Paesi ha grandemente limitato il danno che altrimenti avrebbe potuto essere completo e irreparabile.
Il Museo del Cairo è un'istituzione veneranda che risale al 1859, voluta dal Khedivé d'Egitto e realizzata da Auguste Ferdinand Mariette mitico fondatore del Servizio delle Antichità dell'Egitto, ed è praticamente lo scrigno della memoria dell'Egitto. Contiene il tesoro di Tutankhamon, una quantità di sarcofagi dipinti, mummie di sovrani famosi come Ramses II, preziosi testi su papiro, oggetti e scene miniaturistiche, gioielli, armi, opere d'arte di straordinaria bellezza. Insomma le testimonianze di tutta una civiltà. Se finisse in balia dei disordini i danni potrebbero essere incalcolabili.
È interessante considerare che i Paesi arabi laici come l'Irak di Saddam Hussein, la Tunisia e lo stesso Egitto hanno sempre valorizzato grandemente la storia pre islamica dei loro popoli, probabilmente anche in funzione anti-fondamentalista. Saddam si paragonava a Nebuchadnezzar, Mubarak ha sempre sostenuto l'immagine faraonica dell'Egitto (basti pensare al frenetico attivismo di Zahi Awass) e la Tunisia organizzò addirittura il rimpatrio delle presunte (quanto improbabili) ceneri di Annibale. Per non parlare dell'Iran dello Shah, che non era arabo ma comunque musulmano, dove vennero grandemente valorizzate le radici achemenidi della Persia. Sarebbe in ogni caso un disastro se le memorie di civiltà tanto prestigiose fossero trascinate nella rovina di chi ne ha fatto uso non sempre corretto.
D'altra parte l'emergere dei fratelli musulmani di matrice indubbiamente fondamentalista non aiuterebbe: per loro gli egiziani faraonici erano dei pagani e le loro immagini offendono Dio.
È augurabile che chiunque vinca si renda almeno conto che ogni danno inferto ai tesori dell'antichità è un danno grave per l'Egitto di oggi ma anche per l’eredità culturale e storica dell’intera umanità. In una situazione così drammatica l’Occidente non può stare a guardare: l’Egitto ha bisogno di aiuto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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