Dai droni Valkyrie alla flotta fantasma: ecco le armi per la guerra del futuro

Gli eserciti occidentali presto potranno vantare nei loro arsenali armi autonome e basate sull'intelligenza artificiale. Il programma degli Stati Uniti

Il drone "Valkyrie" e la nave a pilotaggio remoto Sea Hunter.
Il drone "Valkyrie" e la nave a pilotaggio remoto Sea Hunter.

Quella dell’intelligenza artificiale è stata definita dall’ex presidente di Google China Kai-Fu Lee la "terza rivoluzione nella storia dei conflitti" dopo l’invenzione della polvere da sparo e delle armi nucleari. Il cambiamento davanti al quale è posta l’umanità potrebbe ribaltare il rapporto con l’arte bellica così come l’abbiamo conosciuta nell’ultimo secolo, ossia un’opera esclusiva dell’uomo. Presto, invece, gli arsenali prolifereranno di armi autonome.

I droni Valkyrie e le mosse Usa

Il mese scorso l’aviazione americana ha aperto le porte della base di Eglin alla stampa per presentare il programma sperimentale denominato Valkyrie. I piloti dell’Air Force hanno raccontato dei lunghi addestramenti in cui, a bordo dei classici cacciabombardieri, sono affiancati da dei droni chiamati XQ-58 che per la livrea scura e la forma affusolata ricordano le leggendarie bocche di squalo delle Tigri volanti impegnate sui cieli del Giappone durante la Seconda guerra sino-giapponese. Rispetto a 80 anni fa però la differenza è che questi aeromobili da combattimento (Ucav) con motore a razzo, lunghi 9 metri e con un carico utile di 272 kg, non hanno nessuno all’interno del cockpit e utilizzano un algoritmo.

L’azienda che li produce, Kratos Defense, si è aggiudicata un contratto da 15 milioni di dollari della Marina militare statunitense per consegnare due modelli entro la fine dell’anno, mentre l’aeronautica continua i test nell’ambito del programma Collaborative combat aircraft. La sensazione dei militari Usa è quella di avere tra le mani un oggetto unico, versatile ed economico (sei milioni per esemplare contro i 78 della versione standard del più sofisticato jet multiruolo F-35A), grazie al quale potrà crearsi un'interessante flotta di diverse centinaia di velivoli a pilotaggio remoto controllati dall’intelligenza artificiale.

Boeing Australia sta sviluppando un drone simile di tipo "Loyal Wingman" grande 11 metri chiamato MQ-28 Ghost Bat, che scorterà i caccia della Royal Force australiana e ha un’autonomia di circa 3700 km (contro i 3941 dei Valkyrie). Canberra ha chiesto a Boeing 10 Ghost Bat entro il 2025 e l’entrata in servizio è prevista per il 2024.

Drone Wingman
Il drone Mq-28 Ghost Bat "Loyal Wingman" di Boeing Australia.

Cosa possono fare le armi basate sull'intelligenza artificiale

È l’alba delle Lethal autonomous weapons systems (Laws), macchine addestrate per uccidere, talvolta anche a loro discrezione. Il presunto "ammutinamento" di un drone che la scorsa primavera si sarebbe rifiutato di eseguire l’ordine del suo pilota uccidendolo è finito sui giornali di tutto il mondo. Secondo la ricostruzione originale dell’aviazione Usa, il velivolo era stato istruito a identificare e a colpire i bersagli, ma quando l’operatore gli impediva di farlo allora avrebbe deciso di metterlo fuori gioco.

La notizia, poi smentita, ha dato ulteriore forza a una campagna internazionale per limitare l’impiego su scala globale di sistemi d’arma autonomi come suggerito dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha proposto un trattato entro il 2026. Ma i benefici sono maggiori dei costi, soprattutto se pesati in un’ottica di competizione strategica con i piani di Cina e Russia, le quali stanno portando avanti i loro progetti segreti.

In uno scenario immaginato dall’Atlantic Council, questi droni potrebbero sondare il terreno alla ricerca di lanciarazzi russi pescando da un database caricato al loro interno e, una volta accertata la minaccia, possono attaccare, a meno che non abbiano ricevuto l’ordine di un attacco preventivo.

Drone Kargu 2
Il drone Kargu 2, prodotto dall'azienda turca Stm. Durante la guerra civile in Libia, nel 2020 ha inseguito e ucciso una persona senza ricevere il comando da un essere umano.

Le navi senza pilota

Ma come insegnano le recenti cronache ucraine, la guerra si combatte anche sul fronte marittimo e per questo il Pentagono ha già varato tre Unmanned Surface Vessel (Usv), la Usv Ranger, la Usv Nomad e la Usv Mariner, navi senza pilota che compongono la cosiddetta Ghost Fleet Overlord, la flotta fantasma della Us Navy.

Si tratta di imbarcazioni della lunghezza di 60 metri e comandate dall’intelligenza artificiale, a cui va aggiunto il progetto Sea Hunter dell’americana Vigor Industrial appaltato dalla Darpa, l’agenzia federale per lo sviluppo militare. Questa nave-drone di 40 metri può raggiungere 27 nodi di velocità, costa 20 milioni di dollari e dopo due anni di rodaggio sarà armata e si occuperà di lotta antisommergibile. Prototipi di stazza variabile studiati con l’obiettivo dichiarato di arrivare a un’indipendenza totale e permettere alla tecnologia di affrancarsi dalla supervisione umana: attualmente su questi "vascelli del futuro" è presente un equipaggio di circa 10 persone. Per arrivare al prodotto finale bisognerà aspettare almeno il 2030.

Usv Nomad
La nave senza pilota Usv Nomad della Marina statunitense.

Il Pentagono studia ChatGPT

Nel frattempo il Pentagono vuole scardinare la narrazione da "Terminator" e lo vuole fare investendo su un altro ramo, la GenAI, o intelligenza artificiale generativa. Il dipartimento della Difesa approfondirà le potenzialità dei modelli linguistici tra cui ChatGPT e Bard, ma anche text-to-image come Midjourney per poi integrarli ai dispositivi in dotazione all’esercito. Secondo il capitano della marina Xavier Lugo, la GenAI consentirà di migliorare la raccolta di informazioni di intelligence e la conduzione delle operazioni militari.

Gli esperti però restano dubbiosi. I professori Cameron Hunter e Bleddyn Bowen dell’università di Leicester sostengono sul Journal of Strategic Studies che le previsioni dei vari Stati sull’inserimento dell’intelligenza artificiale nei loro eserciti sono troppo ottimistiche, poiché l’AI non è capace di fare la guerra come l’uomo.

Decidere cosa e se attaccare o difendere durante un conflitto richiede ragionamenti logici inconcepibili per l’intelligenza artificiale, utile magari a svolgere piccoli compiti di sorveglianza e ricognizione, ma sconsigliata per iniziative più vaste come l'assedio di una città o l’esecuzione di una particolare tattica militare.

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