Una vocale fa la differenza. Tra Balotelli e i suoi compagni di attacco, Cassano, Giovinco, Di Natale. Una vocale, l’ultima, di una parola di quattro semplici lettere: fama-fame. Mario Balotelli è il prodotto classico di questa generazione che se la spassa con il culo nella nutella. Privilegi, gloria, soldi, fama. Non hanno un passato, non cercano il futuro, frequentano il presente come fosse una discoteca, la partita di pallone e gli allenamenti sono happy hour , momenti di distrazione e non di impegno vero, profondo, intenso, sofferto. Una generazione di capricciosi e viziati, con le solite eccezioni che non fanno regola. Nessuno può discutere il talento di Balotelli, si discute il modo con il quale lo stesso talentuoso mette in atto le proprie capacità e attitudini.
Balotelli sa giocare a pallone ma il football è una cosa diversa, chi fa a cazzotti non è un pugile, così come chi sa toccare bene il pallone non è certo un ottimo calciatore. Balotelli è una scommessa continua, a vent’anni già vive di rendita, non soltanto finanziaria che non è affatto una colpa, anzi. Ma a vent’anni Rivera era Rivera, Messi pure, Frank Sinatra anche e via andando. Definire fuoriclasse l’attaccante del Manchester City significa non avere memoria o non avere studiato il calcio. Ma l’Italia di oggi ha bisogno di questo tipo, ha bisogno della fisicità (un termine obbrobrioso) dimenticando spesso che in questo gioco il fosforo ha maggiore importanza del muscolo.
Di Natale, Cassano e Giovinco godono di minore fama e inferiore salario ma, sul campo, dimostrano di essere affamati, del pallone e dell’avversario, non rinunciano, soffrono, tentano, provano a molestare non con la lingua ma con il temperamento qualunque armadio si ritrovino di fronte.
È la fame antica che non è stata cancellata dalla fama successiva e dagli ingaggi sontuosi (di certo Cassano tra Roma e Madrid), è la voglia di arrivare per primi dopo essere partiti per ultimi. Balotelli non ha letto questo libro di testo, o la sua maestra è deceduta al primo giorno di scuola, non conosce l’argomento, non lo interessa nemmeno, ha trovato subito brioche e foie gras, tra Milano e Manchester la sua carriera è stata precoce, la sua esperienza, limitata, la sua maturazione, ritardata. Quando, da bamboccio, da Lumezzane andò a sostenere un test per l’Atalanta, sputò, per protesta, verso l’arbitro che era poi il 'maestro' di calcio bergamasco Raffaello Bonifacio il quale, due secondi dopo, nonostante avesse intuito la grande cilindrata del pupo, lo rispedì al mittente che lo girò all’Inter.
Eppure una fetta di italiani, tifosi e addetti, opinionisti e roba del genere, lo considera l’unico talento a disposizione di Prandelli. Il quale ha conosciuto, da calciatore prima e da allenatore dopo, gente più vera del nuovo fenomeno azzurro (da Platini a Totti, tanto per citare a memoria e a caso).
Non è il caso di scaricare colpe e responsabilità tutte e in esclusiva su Balotelli ma mi sembra, tuttavia, l’occasione per ricordare e ricordargli una frase splendida, pensata e pronunciata da Bill Shankly, grande di Scozia e allenatore del magico Liverpool: «Alcuni pensano che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo.Posso assicurarvi che è molto, molto di più».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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