«Ho rilevato questa azienda nel 2005, marchio prestigioso, 150 milioni di fatturato. Ho ampliato la gamma dei prodotti operando sui mercati extra europei. Nel 2008 il nostro fatturato era già cresciuto a 198 milioni. Ma, caso unico nel panorama internazionale, nel 2009 la crisi s’è portata via solo il 9% del nostro fatturato sceso a 181 milioni. Nel 2010 siamo risaliti a 196 (+8%). Le previsioni per il 2011 ci danno in crescita di circa il 4% a 205 milioni».
Sintesi perfetta quella di Massimo Perotti, presidente dei Cantieri Sanlorenzo, che nei giorni scorsi al Monaco Boat Show ha presentato il nuovo gioiello della Casa, «Sl94» (28,60 metri).
Dottor Perotti, anche i grandi costruttori stranieri soffrono.
«Tenga conto che nel mondo i Paesi grandi costruttori di barche a motore sono tre: Stati Uniti, Inghilterra e Italia. I primi due, però, hanno avuto dalla loro un grande vantaggio: dollaro e sterlina, infatti, si sono svalutati del 30%. Un vantaggio che tuttavia non ha evitato che alcuni grandi marchi fossero ceduti a prezzi di saldo. Qualcuno è anche fallito, come il secondo gruppo americano. Anche i grandi gruppi italiani hanno dimezzato il fatturato. Molti nostri cantieri, che prima della crisi costruivano 15-20 barche l’anno, oggi ne producono una o due. Io credo che nessun altro settore al mondo sia stato distrutto - e non solo dalla crisi - come la nautica». Sanlorenzo dei miracoli...
«Non sono ancora attrezzato, ma in questo panorama i nostri dati sono eccellenti. Devo però sottolineare alcune eccellenze del made in Italy: Perini Navi, Codecasa e altri ancora. Aziende medio-piccole da 50-80 milioni di fatturato. Con prodotti di grande nicchia, di prestigio e bellezza, hanno sofferto molto meno delle grandi».
Parliamo dei nuivi mercati.
«Sono indubbiamente uno sfogo prezioso ma abbordabili, ahimè, solo dalle grandi aziende. Strada sbarrata, invece, per molti player italiani, quelli che hanno creato il made in Italy. Noi quest’anno ci siamo concentrati su due mercati: Cina e Brasile. I russi non hanno bisogno di grandi organizzazioni locali, vengono già sulle coste italiane. L’India è all’anno zero con i suoi complessivi 100 posti barca... A differenza dei cinesi, gli indiani sono molto bravi ma molto lenti. In agosto abbiamo firmato un accordo importante che ci lega per i prossimi 5 anni al gruppo brasiliano Intermarine. Inizialmente distribuirà le barche Sanlorenzo prodotte in Italia. In seguito trasferiremo laggiù parte della produzione. Mi spiego: le barche che saranno costruite in Brasile saranno vendute in Brasile e nell’area del vecchio Mercosur. Per quanto riguarda la Cina stiamo negoziando con una società di Chongqing che già lavora con il gruppo Piaggio. Potrebbe nascere una joint venture al 50% per la produzione di barche destinate esclusivamente al mercato cinese».
Cina: pericolo o opportunità?
«La cosa è più semplice di quanto si creda. È una scelta strategica del governo cinese: ha chiamato l’industria e ha impartito l’ordine di costruire elicotteri, aerei e barche. Loro sono bravissimi a fare tutto questo. Non so che cosa accadrà tra dieci anni in un mercato potenzialmente enorme».
Luglio e agosto mesi difficili...
«Un dramma da caccia alle streghe. Il binomio diportista-evasore sta dando il colpo di grazia un’industria già allo stremo. È sicuramente vero che in Italia c’è una forte evasione. Ma non è assolutamente vero che gli evasori sono quelli che hanno una barca. Chi compra le barche, le compra con bandiera italiana, fa il leasing con le banche italiane, costituisce società italiane alla luce del sole. Probabilmente qualcuno fa anche la società di comodo, ma stiamo parlando di pochissimi casi. In agosto si è sentito di tutto e di più: 90mila barche e 35mila società di comodo. Mi chiedo perché si omettano sempre i “dettagli”. Il numero delle barche si riferisce al parco immatricolato negli ultimi 50 anni. E nelle 35mila società di comodo appena 600 sono proprietarie di barche, meno del 2%».
Resistere! Ma fino a quando?
«Qui si fa demagogia facile. In questo modo stiamo uccidendo il quinto settore dell’export nazionale. Se si resiste lo si deve alla capacità dei cantieri italiani di rimanere sul mercato nonostante il 30% di penalizzazione sulla valuta. Tenga conto che i grandi brooker internazionali consigliano alle società di charter e ai clienti di non venire in Italia. E gli italiani che si sentono ingiustamente perseguitati se ne vanno all’estero. Risultato: pienone in Francia, pienone nelle Baleari, in Spagna, in Grecia, in Turchia. Lei capisce che non è più possibile lavorare in un Paese che non ti aiuta a crescere e che ti bolla come evasore».
Se ne esce in che modo?
«Il vero problema è che i governi, di destra o di sinistra che siano, non hanno il coraggio di prendere decisioni impopolari: parlo di infrastrutture, di flessibilità del lavoro, di pensioni, di burocrazia, di costi della politica, dell’abolizione delle province. La patrimoniale? Paghiamola, purché serva a qualcosa. Negli ultimi tempi le Borse ci hanno fatto pagare almeno dieci patrimoniali...».
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