Le disoccupate del Covid costrette a fare le squillo

Molte donne rimaste senza lavoro hanno iniziato a prostituirsi per pagare l'affitto o l'università

Le disoccupate del Covid costrette a fare le squillo

Madrid. A Nerea l'idea di prostituirsi non è venuta in mente per caso ma per necessità. Venticinque anni, diploma di scuola del turismo, quattro lingue parlate, aveva appena comprato casa quando la scure della pandemia Covid-19 ha tagliato quasi due milioni di posti di lavoro in Spagna. Il suo compreso, da agente turistica. La giovane si è trovata così, da uno stipendio di quasi 2mila euro a un sussidio del Governo di 700, con la rata ipotecaria mensile di 500. Cosa fare? Restituire casa alla banca e tornare in una stanza d'affitto a 300 euro? Tornare a vivere dai genitori? No, meglio sfruttare una delle abitudini più presenti e radicate nella società maschile iberica: il sesso a pagamento, settore sempre generoso, che un impiego in ogni a specialità, lo concede, tramite incontri a sorpresa, appuntamenti prestabiliti e bollenti video chat.

In Spagna, secondo un sondaggio del quotidiano El Mundo esistono oltre 3mila case di tolleranza, di cui un 30% registrate come centri estetici e bar discoteche con hotel annesso in regola col fisco. Le lavoratrici del sesso sfiorano le 80mila unità (+22% rispetto al 2019) e operano a casa, bar discoteche, saloni di bellezza o strada. Producono un giro d'affari annuale di tre miliardi di euro (in parte tassato) che equivale allo 0,45% del Pil nazionale. Con questi numeri, il Paese dell'ex regina Isabella I, detta la Cattolica, grazie a una sorta di limbo giuridico e una generosa tolleranza, ha scalato le classifiche di gradimento, finendo a toccare il secondo posto, a parità col Brasile e dietro la Thailandia, tra le mete mondiali più gettonate dai turisti del sesso.

Con una crisi economica che sta mordendo l'ossatura economica spagnola fino al midollo, e una disoccupazione che viaggia al 21% (in alcune regioni il tasso è del 36% tra i 18 e i 27 anni), perché, allora, non approfittarne? Se, poi, si è giovani, disinvolte, attraenti e con 240 rate di mutuo da pagare. Lo confermano gli annunci di trentenni, quarantenni, ma anche cinquantenni scaricate dal mondo del lavoro e avvicinatesi al business della prostituzione. Alla classica formula «giovane-spagnola-studentessa» si sono aggiunte «trentenne-spagnola-ex segretaria» o «ex impiegata», «ex amministratrice», ma anche «ex cuoca» o «ex insegnante». Formule dialettiche molto redditizie. Eléna chiede 300 euro per un'ora di sesso, tantissimo. Riceve in un minuscolo appartamento affittato per discrezione. Dai quasi 2mila euro di prima, ora ne porta a casa 8mila con uno o massimo due clienti al giorno, poi si dedica a shopping e cura del corpo. «Un manager industriale mi ha affittata per una settimana, durante il lockdown. Mi ha chiesto certificato di non positività all'Aids e anche al Covid-19», spiega Eléna in un bar di Chueca. Lei, assieme ad altre ex colleghe, ha fondato il gruppo Jovenes69, una specie di cooperativa, registrata come di estetiste, che annovera, studentesse ed ex impiegate. «E anche qualche giovane madre di famiglia». Una soluzione drastica, in attesa di tempi migliori. «Nessuno sa quando finirà la pandemia. Io vedo soltanto negozi chiusi e amiche licenziate. Alcune lo fanno per brevi periodi, per esempio quando devono pagare la retta universitaria, l'affitto arretrato, mettere qualcosa da parte o, semplicemente, se vogliono comprare qualcosa di particolarmente costoso», dice Nerea a Il Giornale. La selezione è durissima: le ragazze per entrare nella cooperativa devono essere molto belle, più della media, e disponibili a (quasi) ogni richiesta. E non oltre i 35 anni. «Questo giustifica le nostre tariffe più alte rispetto ad altri servizi di escort. I nostri clienti sono persone facoltose e rampolli sensibili a bellezza e giovinezza, e alcuni pagherebbero anche cinquecento euro all'ora».

Il caso di Jovenes69 è un unicum e fa parte di uno dei tanti tasselli del mosaico della nuova prostituzione spagnola anni Venti. I dati dell'Ong Medicos del Mundo, che offre assistenza sanitaria e psicologica alle lavoratrici del sesso, dicono che il numero di donne che si prostituiscono per necessità e senza nessuna esperienza, dopo avere perso il lavoro, è in crescita costante fin dallo scoppio della crisi del 2008. E la pandemia ha aumentato il ritmo di nuove adepte, mentre è iniziato il trend della fuga delle prostitute straniere verso Paesi più ricchi come Svizzera, Germania e Regno Unito. L'incremento di nuove lavoratrici è, quindi, soltanto di donne spagnole, costrette dalla crisi. È un inedito ribaltamento di un flusso trentennale per cui il lavoro più antico del mondo era appannaggio quasi esclusivo delle straniere. «Esistono regioni nel sud della Spagna dove le Ong locali registrano aumenti anche del 30% per cento di nuove prostitute, tutte spagnole ed ex impiegate nei settori delle vendite e del turismo», spiega Ramon Esteso, uno dei responsabili dell'Ong. A differenza delle giovani come Nerea, le madri di famiglia, tra i 30 e i 60 anni, si accontentano di 35 o persino 15 euro a incontro per pagare debiti affitto e la spesa. «La Spagna ha superato Amsterdam ed è diventato il paese numero uno in Europa nel turismo sessuale», scrive il sito ladsholidayguide.

com che ha l'imperativo di far godere il turista. L'Onu certifica che quattro spagnoli su dieci sono stati almeno una volta con una prostituta. «I giovani spagnoli vanno a prostitute come i giovani inglesi vanno al pub», dice Esteso.

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