La parola è stata inventata da un pittore, fratello di uno scrittore, che la usò in un suo dramma utopico, diciamo così, molto lungimirante. Era il 1921 quando il ceco Karel Capek (1890-1938) pubblicò R.U.R., ovvero I robot universali di Rossum, in cui raccontava di esseri artificiali identici agli umani utilizzati in fabbrica come operai e, per farlo, ricorreva a un termine suggeritogli dal fratello Josef, che si era ispirato al vocabolo «robota», in ceco servitù, lavoro forzato... Schiavi, insomma, un concetto che non ha mai più abbandonato l'ambito delle creature in questione: se, infatti, a lungo i robot sono stati schiavi degli uomini e dei loro bisogni, oggi si dibatte se gli uomini possano essere ridotti in schiavitù da qualche Intelligenza artificiale particolarmente potente, o abbietta nelle intenzioni (o entrambe). Se la parola esiste da poco più di un secolo, la creatura è però molto, molto più antica: i primi automi sono infatti apparsi nell'Ottavo secolo avanti Cristo, in Grecia, per poi diffondersi soprattutto nel Settecento, epoca illuminata anche nella costruzione di macchinari prodigiosi...
Ecco quindi che Robotland, la terra, fra reale e immaginario, che dà il titolo al libro scritto e illustrato da Berta Páramo (L'ippocampo, pagg. 120, euro 19,90), conta numerosi abitanti, più o meno vetusti o futuristici: anche per questo, all'inizio del suo «Viaggio attraverso la storia dei robot» l'autrice li posiziona su una mappa, che ricorda quella della metropolitana, e che consente di individuarli in base alla loro origine e alla loro funzione (una o più). Quanto all'origine, le cosmogonie robotiche proposte da Páramo sono divise in tre categorie: «simulacra», che comprende i tentativi umani di riprodurre le opere della natura (quindi animali, altri umani, pianeti, stelle); «servitutem», che scaturisce dalla volontà umana di non fare fatica; «ostentationem», che nasce dal desiderio umanissimo di divertirsi e stupire. Da queste tre cosmogonie nascono tutti gli abitanti di Robotland, destinati a utilizzi diversissimi: dal mondo degli «Animalium» a quello della «Securitas», da «Laborare» a «Cosmos», da «Musica» a «Tempus».
A proposito di tempo, uno dei pezzi forti di Robotland è l'«orologio elefante» immaginato dal genio matematico arabo Ismail al-Jazari nel XII secolo: l'elefante sostiene un'impalcatura con draghi, falchi, fenici, dischi per segnare le ore, uno scriba che indica i minuti e un mahut, il conduttore dell'animale, che suona il tamburo; al suo interno, nascosto, c'è un meccanismo idraulico, che ogni mezz'ora, grazie a delle carrucole, mette in moto lo spettacolo. Al-Jazari concepì una serie di marchingegni, alcuni ad acqua, come l'«orologio elefante», altri a candela: in ogni caso, l'effetto magico dei suoi orologi era assicurato. L'automa più antico, tra quelli conservati in Occidente, è invece il «gallo di Strasburgo»: costruito nel 1352, nella cattedrale cittadina aveva il compito di muovere le ali e il becco allo scoccare di ogni ora. E, parlando di orologi, non può mancare quello astronomico di Praga, uno degli esemplari più noti della categoria «Cosmos», ovvero quei robot creati per imitare lo spazio infinito: oltre alla sfilata delle figure (fra cui la Morte e gli apostoli), si vedono le posizioni del Sole e della Luna e le fasi di quest'ultima.
Grandi soddisfazioni riserva anche lo «Zoo robotico»: c'è il «leone meccanico» creato da Leonardo da Vinci per l'incontro di Francesco I di Francia con Papa Leone X; c'è il «gorilla spia» che nel 2020 è stato infiltrato in un branco per girare un documentario sulla specie da insider; c'è «Aibo», un cagnolino inventato nel '99 in Giappone, che fa coppia (o guerra...) con «Justocat», un gatto inventato nel 2015 in Svezia; c'è poi la truculenta «tigre di Taipu», fatta costruire dal sultano indiano Fateh Ali Tipu nel 1792 per ricordare la morte del figlio del suo rivale, il generale britannico Hector Munro (la tigre, azionata meccanicamente, sbrana un soldato di Sua Maestà, mentre si sentono lamenti e ruggiti, in 18 note diverse...); infine, l'incredibile «anatra digeritrice» del francese Jacques de Vaucanson, automa del 1741 che beve, mangia, digerisce, evacua e... starnazza, ovviamente.
E che dire del genere «Homo», (auto)imitatissimo? Una menzione merita «Kismet», una testa che riconosce e simula le emozioni, interagendo come un bambino: il prototipo dei robot sociali, creato al Mit nel 1997 da una pioniera del settore, Cynthia Breazeal, grande appassionata di Star Wars. Poi c'è «Sophia», una mezza diva, che concede interviste e dalla Cina, dove è nata nel 2015, ha ottenuto la cittadinanza saudita. C'è «Asimo», nato in Giappone nel 2000, che significa Advanced Step in Innovative Mobility, ma è anche chiaramente un omaggio a Isaac Asimov; e c'è l'italiano «iCub», un tenero androide che sembra un bambino e gattona... Poi ci sono le «guardie», molte immaginarie, come «Astroboy», l'antico Talo di Efesto, il Golem, il cinese «Anbot» che è una specie di poliziotto e sembra R2-D2, il pesce-spia «Charlie» (creato dalla Cia nel 1990), gli esploratori spaziali, i faticatori come il «Roomba» (quel santo robot che pulisce da solo), i suonatori di musica (canarini, usignoli, flautisti, organi, la suonatrice di salterio di Maria Antonietta...), fontane pirotecniche, teste parlanti, uno scarabeo volante (di epoca Elisabettiana) e, beh, robot spirituali.
Come il «monaco», creato nel Cinquecento da Janello Torriani, genio cremonese, per il re di Spagna: cammina, prega, annuisce e muove gli occhi, si batte il petto con una mano e, con l'altra, solleva un rosario e una croce. Si può andarlo a trovare al National Museum of American History di Washington e sperare che ci benedica, a distanza di mezzo millennio, nonostante tutti gli errori commessi nella terra di Robotland...
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