da Berlino
Nel Festival più politico che mondano com'è quello di Berlino, non può mancare il film sulla pena di morte. Perché tale è sotto l'apparenza del film biografico, Capote di Bennet Miller, fuori concorso. Non è una tematica nuova, perché da qui sono passati nel 2003 The Life of David Gale, di Alan Parker e lo scorso anno Monster di Marc Forster.
Ma la cupezza del tema in Capote si stempera nella gaiezza mondana della vita del novellista americano Truman Capote (Philip Seymour Hoffman). Nel 1959 una famiglia di quattro persone viene brutalmente sterminata da due assassini. Capote è già semifamoso per Colazione da Tiffany, ma è in cerca di nuove storie da romanzare. Inviato da tabloid per investigare, quando i colpevoli vengono catturati ottiene un permesso per intervistarli.
Resta colpito - e attratto - da uno in particolare, con il quale condivide il dramma di un'infanzia difficile in una squallida famiglia. Decide così di sostenere le spese legali, ma raccolto il necessario per il suo libro sospende visite e aiuti. Se i due vivono, il romanzo non può essere pubblicato...
Il giorno dell'esecuzione Capote sarà presente e il senso di colpa per aver influito nel loro destino soffocherà ogni sua futura ispirazione.
Il film è tratto dal romanzo di Gerald Clarke Truman Capote (Frassinelli) e la scena dell'esecuzione è ricalcata sulla medesima di A sangue freddo di Richard Brooks (1966), ispirato dal romanzo che il novellista pubblicò.
Signor Hoffman lei non solo è nei panni di Capote nel film, ma lo ha anche prodotto...
«Non trovavamo tutti i soldi necessari, così ho dovuto metter mano al portafogli».
Un investimento azzeccato?
«Il film è piaciuto, abbiamo fatto un buon lavoro».
È stato un ruolo difficile?
«Nessun ruolo è facile, ma quando ho letto la sceneggiatura mi ha incuriosito».
Una sfida?
«Sì, perché Capote è stato un uomo dalle differenti sfumature».
Lo ha conosciuto?
«No, è morto nel 1984. Ma ho parlato con persone che gli sono state amiche».
E come hanno giudicato la sua interpretazione?
«Mi hanno detto che ero verosimile».
La sua voce nel film è identica a quella di Capote, come ha fatto?
«Ho ascoltato per giorni le registrazioni originali è ho studiato la sua voce giorno e notte».
Lei ha una nomination all'Oscar. Che possibilità ha di vincerlo?
«Quest'anno il cinema americano ha prodotto tanti film a sfondo politico, non sarà facile».
Ne ha in mente qualcuno in particolare?
«George Clooney con Syriana che è stato qui al Festival qualche giorno fa».
Lei come Clooney... Perché gli attori i film politici devono finanziarseli?
«È sempre stato così. La politica resta un tema di nicchia, non sai mai se ci fai i soldi o se ti premia».
Ma la politica gli Oscar li vince...
«O riceve solo le nomination...».
Come giudica Capote?
«Il senso di colpa seguito alla sentenza lo ha penalizzato. Cosa posso aggiungere?».
Il suo punto di vista.
«Sia l'uomo, che il giornalista, hanno pagato per il cinismo mostrato».
Ha letto il romanzo?
«Certamente...».
E vince il cinico in Capote?
«Trapela dal romanzo, molto più che dal nostro film. E comunque la storia è proprio da film».
Non le pare anche un po' teatrale?
«In effetti la considero anche una tragedia, come quella classica. Ha una sua morale molto forte».
La stampa americana ha definito adorabile ogni film nel quale recita...
«Per me questo è già una premio. Ma mi creda, spesso stento a riconoscermi».
Ha una tecnica speciale?
«Mi dimentico di essere chi sono e di essere attore. Vivo e penso come il mio personaggio».
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